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Caricola: Finalmente la maledizione è finita
Scritto il 2013-10-28 da Franco Spicciariello su MLS

Oltre alle migliaia di tifosi dei New York Red Bulls, c'è anche qualcun'altro che oggi dall'altra parte del mondo esulta per il Supporters'Shield vinto dal team di NY. Si tratta di Nicola Caricola, ex difensore degli allora NY MetroStars del 1996 - anno d'esordio della MLS - che da 18 anni è costretto a sentire riferimenti a quella che è stata definita appunto la "maledizione di Caricola".

"E tutto per un autogol all'ultimo minuto della nostra prima partita al Giants Stadium contro il New England Revolution di Nanù Galderisi. Come se ad un difensore non potesse succedere. Ma sono molto contento per il successo dei Red Bulls e per il loro aver sfatato questa presunta 'maledizione'".

Caricola parla al telefono da Città del Capo, Sudafrica, dove da anni vive e lavora gestendo una società che importa il caffé Lavazza. Tra i suoi soci ci sono anche Massimo Mauro, Gianluca Vialli  e l'ex DG della AS Roma, Franco Baldini. "Con Franco siamo amici da quando giocavamo insieme ai tempi del Bari".

Ex difensore di Bari, Juventus, Genoa e Torino, dopo avere fatto l'osservatore e il team manager per il Genoa («L' allenatore era Delio Rossi») ai tempi della presidenza di Massimo Mauro, Caricola segue ancora il calcio. "Principalmente quello italiano e la Premier League, che vengono trasmessi qui in Sudafrica. Ma sono sempre informato sulla MLS, dove ho vissuto una bellissima esperienza", ma ricorda con grande piacere i due anni passati in America.

La MLS è un campionato in continua espansione, solido finanziariamente e capace di esportare giocatori verso l?Europa. Com'era invece la Major League Soccer in cui sbarcasti a fine 1995?

"Tutto era nuovo. Stavano mettendo insieme un campionato. C'era grande entusiasmo in tutti gli stadi in cui andavamo a giocare, molti dei quali erano nuovi o erano stati rinnovati per i Mondiali americani di due anni prima. Ricordo i 50mila del Giants Stadium e il Rose Bowl di Pasadena - lo stadio della finale tra Italia e Brasile - pieno di gente. Il rapporto coi tifosi era certo diverso dall'Italia, ma c'era sempre un gruppetto di affezionati allo stadio. Certo non era tutto rose e fiori, specie in termini organizzativi, ma è stato molto bello".

Dal punto di vista tecnico?

"Nei due anni passati a NY ho avuto tre grandi allenatori. Il primo fu Eddie Firmani, che aveva vinto nella NASL coi New York Cosmos, che però venne poi sostituito dal portoghese Carlos Queiroz, numero due di Alex Ferguson al Manchester United e davvero un bravissimo allenatore. Nel 1997 addirittura arrivò Carlo Alberto Parreira, il CT del Brasile campione del mondo nel 1994. E poi nella lega erano arrivati tanti ottimi giocatori, come Carlos Valderrama e Marco Etcheverry, mentre a NY mi raggiunse Roberto Donadoni. Purtroppo non riuscimmo a vincere alcun trofeo".

E i giocatori americani?

"Ricordo in particolare i miei compagni. Tony Meola innanzitutto, il capitano, ottimo portiere che aveva giocato anche ai Mondiali del 1990 e 1994 e che aveva anche provato a giocare a football. E poi Tab Ramos, giocatore molto tecnico e di grande talento. E poi il centrocampista Peter Vermes, che aveva anche giocato in Europa, con cui instaurai un ottimo rapporto. Ma rispetto ad allora il calcio americano è molto cresciuto. La Nazionale USA ne è lo specchio: molto organizzata, con qualche buona individualità E' una squadra che incute rispetto alle altre".

Torniamo in Italia. Come vedi il campionato di quest'anno?

"E' molto bello, e assai equilibrato, anche se la AS Roma in questo momento sta entusiasmando. Ma alle sue spalle Napoli, Fiorentina e anche Lazio possono dire da loro. La Juventus di Antonio Conte è molto forte, ma per reggere su due fronti ai bianconeri manca qualche pedina. Bello però, perché sembra di essere tornati agli anni '80 con un campionato così livellato. Con la differenza che gli arbitri non sembrano più subire la sudditanza psicologica del passato".

Livellato verso il basso però.

"Purtroppo le squadre italiane in questo momento non hanno le stesse possibilità di quelle di Premier e Bundesliga. Ma questa può essere l'occasione per ottimizzare il lavoro sui vivai, puntando sui giovani, troppo spesso trascurati".

E il tuo Genoa?

"E' davvero un peccato vederlo così. Con quei tifosi il Genoa dovrebbe stare non dico sempre in zona Champions, ma di certo almeno nella parte sinistra della classifica. Purtroppo però se cambi tutti quei giocatori e dopo poche giornate cambi subito l'allenatore, i problemi sono inevitabili. La gente del Genoa merita di più".

Sei rimasto molto legato ai colori rossoblu.

"Professionalmente e umanamente sono stati i migliori anni della mia carriera. Arrivai nel 1987 dalla Juventus perché volevo giocare. In realtà dovevo lasciare la Juve già nell'estate 1984 per andare alla Lazio, ma il no di Giordano fece saltare l'affare".

Anche se nella Juve eri «un panchinaro di lusso», avendo davanti due mostri sacri come Brio e Scirea, ti andò bene. La Lazio finì ultima e retrocesse, alla Juventus vincesti la triste Coppa dei Campioni dell'Heysel e poi la Coppa Intercontinentale.

"E' vero, ma io avevo 20 anni e volevo giocare, e la Lazio è sempre stata una grande società".

Da Bari, Genova e Torino sino alla punta estrema dell'Africa passando per NY. In Sudafrica hai mai incontrato Jomo Sono, che giocò anche con Giorgio Chinaglia e Franz Beckenbauer nei Cosmos?

"Jomo Sono è una leggenda del calcio sudafricano, anche se la squadra che ha fondato - gli Jomo Cosmos - è un po' in secondo piano rispetto alle due grandi locali, Orlando Pirates e Kaizer Chiefs. Purtroppo non l'ho mai consociuto personalmente, ma è un tipo molto interessante. E' praticamente onnipresente in tutte le discussioni calcistiche e ha un carattere esplosivo. Diciamo che ricorda un po' Luciano Gaucci".

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