Mezzo secolo di storia, e di guerra non sempre fredda, che forse si avvia a sopravvivere solo nei libri di storia. Il presidente americano Obama e il leader cubano Raul Castro hanno deciso di ristabilire le relazioni tra i loro Paesi, dopo un lungo negoziato segreto sollecitato e favorito da Papa Francesco. Ma qui ricordiamo il tentativo di diplomazia calcistica portato avanti da Clive Toye, uno dei più importanti personaggi della storia del soccer USA
L’idea di organizzare un’amichevole tra i Chicago Sting e la nazionale di calcio cubana fu partorita dalla mente di Clive Toye, giornalista inglese divenuto poi presidente dei rinomati New York Cosmos e che credeva nella diplomazia dello sport più che a quella tradizionale e pensava che un approccio geopolitico al soccer avrebbe aiutato a farlo crescere facendo sì che entrasse in altre pagine dei quotidiani oltre a quelle sportive. Un modo per far conoscere ad una sempre maggiore fetta di americani dell’esistenza di questo sport negli USA, pensando che vedendone la presenza anche nella politica lo avrebbe così sdoganato dall’etichetta di sport etnico degli immigrati e lo avrebbe mentalmente collocato assieme ai cosiddetti “big four” gli sport tradizionalmente americani.
D’altronde anche Pelé era arrivato negli Usa grazie alla sapiente e certosina diplomazia della Warner Bros., facendo leva sui contatti con Nelson Rockfeller III ed Henry Kissinger per vincere le resistenze del governo brasiliano che voleva che il più grande giocatore di tutti i tempi giocasse un altro anno nel Santos invece che andare in America.
Questa strategia era stata cominciata da Toye nel 1972 con l’amichevole tra i New York Cosmos, ancora lontani dall’essere la squadra stellare che sarebbero diventati di lì a poco, contro i sovietici della Dinamo Mosca, e continuò culminando nel tour in Cina nel 1977 grazie agli agganci col magnate del petrolio Lamar Hunt e il futuro presidente degli Stati Uniti George H.W. Bush, e cercò di fare lo stesso con Cuba. Ma prima che potesse attuare questa sua idea venne messo alla porta dai newyorkesi per volere di Giorgio Chinaglia, che oltre ad essere il top scorer della squadra era diventato anche il più ascoltato consigliere del presidente Steve Ross.
Ciò nonostante Toye riuscì ad attuare il suo sogno in veste di presidente dei Chicago Sting, e l’invito ai pungiglioni di Chicago arrivò quando la squadra stava effettuando la preseason alle isole Barbados. Toye dichiarò in un’intervista al Chicago Sun-Times. “Pensavamo di fare un favore all’America, semplicemente pensavamo di farle un favore facendole conoscere un mondo più vasto. Credevamo di cambiare il mondo? No, non penso questo, però c’era un po lo spirito di Robin Hood, rubare ai ricchi per dare i poveri, usando i soldi dei proprietari delle squadre per sviluppare il soccer. Non sempre ci han visto di buon occhio per questo motivo”.
La prima partita venne giocata sul suolo cubano il 21 marzo 1978 diventando così la prima squadra pro sport a visitare Cuba dopo la rivoluzione castrista del 1959. Il risultato sul campo è di 2-0 per i cubani, dando alla propaganda comunista un ottimo argomento di cui parlare e dimostrare la superiorità sul nemico americano.
I rapporti sportivi tra le due nazioni si erano interrotti nel 1960, quando il commissioner della Major League Baseball Ford C. Crick decise di spostare la franchigia degli Havana Sugar Kings nel New Jersey a metà stagione per evitarne la nazionalizzazione da parte del governo cubano che stava statalizzando tutte le imprese di proprietà americana. L’estate prima, durante una partita degli Havana Sugar Kings contro i Rochester Red Wings, i giocatori Frank Verdi, appartenente alla squadra ospite, e il cubano Leo Cardenas vennero feriti superficialmente da proiettili sparati dalle tribune per festeggiare il compleanno del movimento di Fidel Castro “26 Giugno”.
Il 25 aprile del 1978 Il quotidiano “The Miami News” da rilevanza alla notizia dell’imminente partita di ritorno programmata per il 9 maggio. Clive Toye, presidente dei Chicago Sting dichiara : "In un mondo imperfetto le relazioni sportive tra popoli possono fare molto. Credo che la diplomazia sportiva sia molto importante. E’ il modo migliore per attraversare le frontiere, siano esse fisiche o psicologiche. Sei meno propenso a puntare una baionetta nello stomaco di una persona che conosci”.
Toye continua l’intervista raccontando alcuni dettagli sull’organizzazione dell’evento : "Ci sono state tre o quattro settimane di silenzio, poi ho ricevuto la telefonata”. Dopo centinaia di telex ed una visita di Toye a Cuba l’amichevole di ritorno viene organizzata. La parte finale dell’intervista verte sull’accoglienza che i Chicago Sting hanno ricevuto a Cuba, ben diversa da quella riservata ai Rochester Red Wings quasi un ventennio prima. “Siamo arrivati a marzo e ci hanno accolti in aeroporto con caffè e daiquiri ghicciato, un caldo e spontaneo benvenuto, speriamo di poter fare lo stesso quando la nazionale cubana sarà qui”. Toye conclude spiegando che se l’iniziativa avrà successo potrebbe essere riproposta su basi annuali e il giornalista scrive a fine dell’articolo che la nazionale di Cuba giocherà anche un’amichevole contro i New England Tea Men.
Invece i cubani disputano la prima amichevole il 4 maggio in California contro i Los Angeles Aztecs vincendo di misura. Non è pervenuta l’affluenza. Il 9 maggio invece finalmente Cuba affronta i Chicago Sting al Comiskey Park, ma purtroppo per Toye l’avvenimento viene ignorato dal pubblico e appena 4.153 spettatori si presentano alla partita. Le ragioni della scarsità del pubblico sono forse da attribuire al fatto che si trattava di un’amichevole infrasettimanale in notturna e anche perché gli Sting non hanno mai avuto un grande afflusso di pubblico. Ciò probabilmente perché spesso e volentieri vagavano dal Comiskey Park al Soldier Field e ancora al Wrigley Field di settimana in settimana.
Molti anni dopo, nel 1999, toccò la nazionale cubana di baseball a varcare i confini nazionali per una doppia amichevole negli Usa e sul suolo patrio contro i Baltimore Orioles. L’affluenza fu di 55.000 persone a Cuba e 48.000 a Baltimora, ennesima dimostrazione di come il soccer Usa e in particolare la NASL fossero troppo avanti per i loro anni.
Di quest’avventura cubana rimane il filmato della televisione di stato cubana.
L'annuncio arriva il 27 gennaio 1983, con La Stampa di Torino che titola così: "Bettega al Toronto dopo 13 anni di Juve" che ne racconta la bellissima carriera in una sorta di "coccodrillo".
Grazie ai meccanismi dello svincolo (ha 32 anni), che per lui diventerà operante quest'anno, il giocatore bianconero sarà libero e potrà trasferirsi in Nord America. Non è una novità che Bettega abbia già allacciato rapporti con il Cosmos. Ma questa ipotesi è svanita, davanti ad un'offerta molto più allettante propostagli dal Toronto Blizzard, la società canadese che ha già tesserato in passato giocatori della Juventus, come Francesco Morini, ora d.s. del club bianconero, e Giampaolo Boniperti, figlio del presidente. [...] Bettega vuole fare una nuova esperienza di vita, in un Paese dove potrebbe fra l'altro perfezionare la lingua inglese [...] Un distacco consensuale, reso necessario da due esigenze: quella del giocatore, che sente giustamente il bisogno di giocare ancora, e quella della Juventus che nei suoi programmi intende, nella maniera meno dolorosa possibile, apportare alcuni ritocchi di restauro alla squadra per allungare un ciclo che ha già dato tanti frutti e moltissimi scudetti.
Bettega è uno degli ultimi grandi nomi a sbarcare in Nordamerica. Nel 1983 infatti, il soccer aveva ormai preso la china discendente, e il campionato avrebbe chiuso di lì a due anni. A Toronto si ritrova in una squadra di buon livello per la NASL (North American Soccer League) costruita da Clive Toye, il manager che aveva reso i grandi i Cosmos portando Pelé, Giorgio Chinaglia, Franz Beckenbauer e Carlos Alberto a New York. Di giocatori "veri" a fianco però se ne trova pochi, tra cui il portiere svedese Jan Moller, ex Malmoe, e i difensori Conny Carlsson e il nordirlandese Jimmy Nicholl, ex Manchester United e reduce dai Mondiali di Spagna, oltre al sudafricano Ace Ntsoelengoe. In panchina Bobby Houghton, ex calciatore del Fulham e in seguito una carriera da allenatore giramondo che nel 1996 lo ha visto poi passare anche per la i Colorado Rapids nella neonata MLS, e guidare le nazionali di Cina, India e Uzbekistan.
L'idea Toronto è proposta a Bettega (e lo stesso fece poi con Del Piero nel 2012, senza successo però) dal suo ex compagno di squadra Francesco "Morgan" Morini, che in Canada era andato a chiudere la carriera nel 1980: "Se vuoi un'esperienza nuova potresti provare con il Canada. Ti ricordi che sono stato una stagione nella Nasl, due anni fa... esperienza stupenda. A Toronto ci sono tanti italiani, poi puoi imparare l'inglese, magari a te che vuoi fare il dirigente potrebbe servire, al tuo posto ci farei un pensierino". La trattativa inizia nell'aprile 1982, come racconta la "Toronto Gazette", e presto i canadesi prevalgono su un Cosmos ormai in via di dismissione, allora in mano a Chinaglia.
Bettega termina la stagione con la Juventus in maniera amara - Scudetto alla AS Roma e Coppa dei Campioni persa in finale ad Atene per il gol fantasma di Felix Magath - e sbarca in Canada a stagione in corso (il campionato americano a giugno è già a metà strada. L'esordio arriva in amichevole, il 2 giugno 1983, in un 2-1 contro il Nottingham Forest (squadra oggi relegato nell'oscurità del Championship, ma che con in panchina il mitico Brian Clough vinse la Coppa dei Campioni nel 1979 e 1980, e fu semifinalista UEFA nel 1984), con Bobby-gol ormai trasformato in centrocampista. L'esordio vero pochi giorni dopo, migliore in campo (nonostante le vesciche causate dal sintetico), ma con Toronto sconfitto 4-1 ai rigori dai Vancouver Whitecaps.
[caption id="attachment_12458" align="aligncenter" width="592"] 22 maggio 1997 - Bettega esulta dopo il gol alla Sampdoria che per la Juventus vale lo Scudetto 1977[/caption]
Commenta così Bettega a La Stampa dell'8 giugno 1983:
«E' calcio vero anche sulla moquette. Sapevo che non sarebbe stata una passeggiata, ma non Immaginavo che, a trentatré anni, avrei quasi dovuto ricominciare da capo. Non è un calcetto, come qualcuno in Italia può pensare: è vero football — assicura Bettega —. La matrice è tipicamente inglese, il pallone non si ferma mai e viaggia dalla difesa agli attaccanti, che fanno da "sponda" un po' come Withe, il centravanti dell'Aston Villa, per favorire le conclusioni del centrocampisti. Poiché non esiste il pareggio, prevalgono la mentalità offensiva, il ritmo e la corsa. Per ora il problema maggiore è il campo, una "moquette" sottile incollata al cemento, sulla quale il pallone rimbalza moltissimo: sull'erba 1 valori tecnici emergono di più, ma questa nuova esperienza mi eccita, cosi come mi piace lo spirito della squadra, la combattività, la voglia di vincere che l'anima e che mi contagia».
Pochi giorni dopo arriva anche una serataccia al Giants Stadium, dove i Toronto Blizzard ne prendono 5 (a 1) dai NY Cosmos - doppiette di Chinaglia e del paraguayano Roberto Cabanas - guidati da un grande Franz Beckenbauer, anche lui autore di una rete.
''Franz può ancora giocare così bene" spiega Bettega al NY Times del 20 giugno 1983. "Come ai vecchi tempi, sembrava volesse attaccare tutto il tempo".
L'8 agosto ecco l'amichevole deis entimenti contro la Juventus, alla prima stagione dopo tanto tempo senza lui e Zoff. Un match finito 0-0 tra i fischi dei 42 mila spettatori, in larga maggioranza immigrati, delusi non tanto dal gioco quanto per la mancanza di gol. Bettega ancora una volta è tra i migliori in campo, anche se Juventus dei campioni del mondo Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli e Paolo Rossi, oltre a Michel Platinì e Zibi Boniek, almeno per un'ora ha fatto valere i diritti della classe superiore nonostante il pessimo «turf» e i pochi giorni di preparazione alle spalle. "Sull'erba anche se a corto di allenamento, i bianconeri avrebbero sicuramente vinto con almeno tre reti di scarto" la sentenza di Omar Sivori (all'epoca collaboratore del Toronto Italia), autore del calcio d'inizio. Da notare che in campo con la Juve c'era anche Nicola Caricola, che nel 1996 volerà ai NY MetroStars nell'anno di fondazione della MLS.
La franchigia di Toronto centra il traguardo dei play-off con una regular season di 16 vittorie e 14 sconfitte, ed una media di 51 goal segnati e 48 subiti, chiudendo al terzo posto la Eastern Conference, e con una media spettatori a partita di 11.630. Nella prima dei playoff il Blizzard perde contro i Vancouver Whitecaps (che presentavano un giovane Peter Bearsdley in prestito, l'olandese Frans Thijssen e il tedesco ex Ajax Arno Steffenhagen) per 1-0, ma vince al ritorno per 4-3, determinando così un altro match di spareggio con risultato che arride ai Blizzard per 1-0. Nelle semifinali Toronto sconfigge i Golden Bay (ex San Jose) Eearthquakes di Slavisa Zungul (probabilmente il più grande calciatore 'indoor' della storia) per 1-0 e 2-0. Nel frattempo i Cosmos di Giorgio Chinaglia all'ultima stagione in campo finiscono fuori subito, sconfitti dal Montreal Manic allenato da Eddie Firmani, mentre la sorpresa arriva dai Tulsa Roughnecks che eliminando proprio Montreal finisco a giocarsi il Soccer Bowl 1983 a Vancouver contro Toronto.
Il gruppo di Bettega arriva alla finale da netto favorito, grazie anche ad un super Ntsolengoe rientrato dopo un'operazione in tempo per i playoff, e con davanti una squadra di sconosciuti - gli stessi Roughnecks si definivano "un pugno di scarti" - in cui dovrebbe essere assente anche il centravanti e cannoniere Ron Futcher, squalificato per somma di ammonizioni. Ma evidentemente per Bettega non è l'anno buono: prima il commissioner della NASL Howard Samuels decide di annullare la squalifica di Futcher"per il bene del gioco", e poi Tulsa va a vincere 2-0 il Soccer Bowl con i gol dello jugoslavo (cresciuto nel Queens) Njega Pesa al 56' e proprio del "graziato" Futcher al 62' davanti ai 53.326 del vecchio B.C. Place Stadium di Vancouver, dove i tifosi erano ancora arrabbiati per l'eliminazione subita dai Caps con Toronto.
In tutto Bettega mette insieme 16 presenze con 2 gol e 8 assist, e a ottobre torna in Italia, allenandosi con la Juventus per tenersi in forma. Sulla NASL ha le idee chiare:
"Indipendentemente dalla mia venuta, a Toronto s'è rivitalizzato il calcio per merito dei dirigenti. Ma Toronto è un'isola in un oceano immenso e quanto sta accadendo qui non ha riflessi negli Stati Uniti. Ogni squadra respira il suo ambiente. Calcisticamente è un pianeta nato con grandi errori di base. Si dovrebbe dare un colpo di spugna per cancellarli"
Non accadrà, purtroppo. Intanto il Toronto riprende la preparazione per la stagione successiva partendo dall'Italia. I primi di aprile Bettega torna infatti in campo al Dall'Ara di Bologna controla Juve (0-0), mentre tre giorni dopo ad Alassio affronta la Sampdoria del suo ex compagno Liam Brady (vittoria 3-2 dei blucerchiati con gol di Gianfranco Bellotto, Trevor Francis [anche lui ex NASL coi Detroit Express] e Francesco Casagrande, Bettega di testa e Randy Ragan per Toronto). Segue una serie di sconfitte con Inter (2-0), Triestina (3-0) e Livorno (4-0).
[caption id="" align="aligncenter" width="503"] Il Toronto Blizzard schierato per l'amichevole pareggiata 0-0 a Bologna contro la Juventus[/caption]
La NASL avvia la stagione 1984 con solo 9 squadre, quattro delle quali - Chicago, San Diego, Tampa Bay e Tulsa - a serio rischio finanziario, mentre la franchigia Montreal - grande successo in campo e fuori - viene rinominata "Team Canada": non certo una scelta intelligente in un Quebec francofono che tanto canadese non si è mai sentito. E infatti il pubblico abbandona presto la squadra, che chiuderà a fine stagione.
Ad agosto intanto Bettega affronta ancora una volta la Juventus, volata in Nordamerica per una torunée. Stavolta i bianconeri vincono per 2-1 con reti di Boniek al 27° e di Antonio Cabrini al 61° e del sudafricano Ntsoelangoe, con qualche colpo proibito tra i vecchi amici Bettega e Sergio Brio (con lo stopper che ci ha anche rimesso un dente).
Chiusa la Eastern Conference dietro Chicago e battuti in semifinale i San Diego Sockers del polacco Kazimierz Deyna (autore del secondo gol nel match che ha eliminato gli Azzurri ai Mondiali 1974), per la seconda volta consecutiva Toronto vola sino alla finale, grazie ai gol di Bettega e dell'inglese David Byrne, e alle parate essenziali dell'ex Crystal Palace Paul Hammond. In finale l'avversario stavolta è il Chicago Sting del cannoniere tedesco Karl-Heintz Granitza e del polacco Seninho (già Porto e NY Cosmos), ma si gioca al meglio dei tre match per la prima volta dal 1975. Toronto parte di nuovo favorita, ma in entrambi i match finisce sconfitta: 2-1 a Chicago e 3-2 in casa il 21 settembre, match in cui il Blizzard va sotto due volte, al 73' proprio Bettega firma il momentaneo 2-2, fino al gol vittoria dell'argentino Pato Margetic, autore di una doppietta (e nel 1988/89 finito al Borussia Dortmund).
[caption id="" align="aligncenter" width="490"] Bettega nei playoff 1984 contro i San Diego Sockers[/caption]
Per Bettega termina una stagione in cui fa vedere di essere ancora un campione, con prestazioni all'altezza della propria fama, come dimostrano anche i numeri: 28 presenze, 8 gol e 13 assist. Allo stesso tempo si chiude così quello che sarebbe stato l'ultimo campionato del calcio professionistico sino alla nascita della MLS nel 1996. A fine stagione infatti Tulsa chiude, e in inverno decidono di passare indoor San Diego, Chicago, Minnesota e NY Cosmos (che però falliranno a metà stagione 1985) . Rimangono le sole Toronto, Tampa Bay, Vancouver e Golden Bay, ma è la fine della NASL e dell'esperienza di Bettega in Canada, anche se sul momento lui non ci crede, avendo un contratto fino al 1985, indeciso se continuare indoor nella MISL o tornare in Italia durante il mercato di "riparazione" (si chiamava così) di ottobre per indossare le maglie di Udinese o Cremonese.
Racconta infatti in un'intervista a La Stampa il 23 ottobre 1984:
«C'è il rischio — ammette Bettega — che si riprenda a giocare solo a metà giugno ma anche se, per assurdo, la 'League' dovesse ridursi a due sole squadre, onorerò fino in fondo il mio impegno. E non è asso- lutamente vero che mi trovo male a Toronto, città bellissima: sarebbe un insulto a gente che mi ha accolto a braccia aperte. Piuttosto il 'feeling' fra squadre e tifosi, a parte le minoranze etniche dei Paesi dove il calcio è amato, non è mai stato ottimo. Gli americani sembrano gradire il 'calcetto' [riferendosi al soccer indoor, NdR] con la formula mista che ricorda il basket e l'hockey». Bettega, che ha rinunciato ad aprire a Toronto una scuola a livello giovanile, ricorda che il «soccer» è boicottato, come lo è stato alle Olimpiadi, e che a coltivarlo sono rimasti in pochi. «C'è perfino chi ha proposto di inserire nel campionato anche le squadre messicane e Haiti ma i viaggi annullerebbero gli incassi: .Tra un paio di mesi saprò se non c'è più vero calcio. Mi spiacerebbe smettere con quello classico per fare esperienza al coperto. E non sarei più utile a nessuno in Italia: sarebbe assurdo giocare solo nel girone di ritorno».
Ma il 2 novembre 1984 è ancora una volta la sfortuna a dare lo stop, stavolta definitivo, alla carriera di Bobby Gol, proprio nel giorno in cui avrebbe dovuto firmare per l'Udinese di Zico e dell'ex compagno Franco Causio, convinto dall'ex compagno nel Varese Ariedo Braida (in seguito colonna della dirigenza del Milan berlusconiano). La sua auto, una A112, esce infatti di strada sull'autostrada Torino-Milano, e il giocatore finisce grave in prognosi riservata all'ospedale con un forte trauma cranico con frattura dell' occipite.
Bettega si riprende, e a Capodanno è ancora convinto di tornare a giocare a Toronto, ma per lui è la fine di una fantastica carriera raccontata così da La Stampa:
Roberto Bettega, dopo essere cresciuto nelle minori bianconere, fu dirottato (1969) per una stagione al Varese, in serie B, dove ebbe come allenatore Nils Liedholm. Bettega vinse la classifica dei cannonieri (13 gol) e tornò alla Juventus. Cominciò una stupenda carriera, «macchiata» nell'inverno del '72 da una grave malattia, alla quale reagì con una straordinaria forza d'animo. Riprese a giocare all'inizio della stagione '72/73 e il suo talento ebbe modo di esaltarsi attraverso un campionario eccezionale. Divenne presto un uomo guida; i suoi gol, di testa o di piede, erano quasi sempre determinanti. Intelligente e tatticamente impeccabile, costruiva e finalizzava il gioco come se leggesse in un libro calcistico. E nella Juventus ha vinto sette scudetti. Ha debuttato nella Nazionale di Bearzot il 5 giugno del '75, toccando i vertici durante la fase di qualificazione ai mondiali di Argentina e a Buenos Aires. Nel '79-80, con 16 reti, vinse la classifica cannonieri in serie A. Nell'autunno dell'81, in uno scontro con Munaron dell'Anderlecht, il «bomber» juventino denunciò un grave infortunio al ginocchio sinistro. Fu operato con felice esito dal prof. Pizzetti. La convalescenza fu lunga [e gli costò i Mondiali 1982, NdR]. Ed ancora una volta il suo carattere è stato superiore alla sfortuna. Nell'agosto dell'82 la ripresa [...] Sono dati che si commentano da soli e che qualificano la carriera di un campione, protagonista del calcio italiano degli Anni 70-80 e uno dei più grandi di sempre.
Una carriera lunga 13 anni, fatta di 481 match ufficiali (326 partite in campionato, 73 in Coppa Italia, 82 nelle grandi manifestazioni internazionali), 178 gol (129 in campionato, 22 in Coppa Italia e 27 sulle ribalte europee); 7 Scudetti (il primo nel '72, l'ultimo nell'82), due Coppa Italia (nel 1979 e 1983), una Coppa Uefa (nel 1977), due finali di Coppa dei Campioni (oltre alla finale dell'83 con l'Amburgo, quella persa - sempre ad Atene - contro l'Ajax di Johann Cruyff il 30 maggio del '73).
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Lasciato il calcio giocato, mentre ad agosto si parla per lui di un ruolo di amministratore delegato alla Juve, a settembre diventa presentatore i canali Fininvest (rifiutando l'offerta della RAI e facendo inalberare Tito Stagno), dove conduce "Caccia al 13", e poi inizia una lunga collaborazione di successo con Moggi e Giraudo [la Triade, NdR], insieme i quali conquista tanti trofei, lasciando però dopo Calciopoli (da cui esce pulito). Nel dicembre 2009 torna in società come vice direttore generale, fino al saluto definitivo (per ora?) nell'estate del 2010.
[caption id="attachment_12460" align="aligncenter" width="595"] Roberto Bettega in Azzurro[/caption]
Sono passati nove anni dalla sua scomparsa per i danni fatti al suo fisico da quasi 50 anni di alcool. Ma il nome di George Best rimane immortale nelle menti degli appassionati di calcio e degli almanacchi. Il problema è che quando si scrive di lui il tono è sempre quello del "talento incredibile ma sprecato". Tanto più ciò accade quando si parla della sua esperienza nella NASL, la vecchia North American Soccer League, che a cavallo tra anni '70 e '80 riunì alcuni dei nomi più famosi del calcio mondiale, per quanto molti negli ultimi anni della propria carriera, e spesso dipinti come mercenari (come se gli altri non lo fossero) in cerca di un ultimo assegno. Ma così non fu per Best.
Quando George Best sbarcò in America aveva già vinto tutto a livello di club. Meno fortunato fu ovviamente con la Nazionale dell'Irlanda del Nord, che era come se il Brasile avesse avuto Pelé e nessun altro intorno. Al momento del trasferimento, nel 1975, il Manchester United era in testa alla classifica della Second Division, e certo il giocatore - anzi, l'uomo - aveva già molti problemi, ammessi da lui stesso.
Perché la North American Soccer League? Non è un segreto che dopo aver cercato per anni di persuadere Pelé a giocare in America, dopo l'arrivo del brasiliano l'obiettivo era diventato Best. Anzi, lo era già da tempo.
Racconta George Best nella sua autobiografia, “The Best”: «... O’Farrell [Frank O’Farrell, allenatore del Manchester United dal 1971/72 al 1973/74, ndr] si rivolse al consiglio di amministrazione... mi avrebbero messo a disposizione per un trasferimento per 300.000 sterline... L’offerta più interessante arrivò da Clive Toye, direttore generale del New York Cosmos, la squadra che aveva vinto la North American Soccer League. La NASL stava iniziando proprio allora ad ingrandirsi e, spalleggiate da alcuni pezzi grossi dell’industria, le squadre cominciavano a spendere un sacco di soldi per acquistare calciatori famosi provenienti da tutto il mondo. La cosa mi attraeva anche perchè mi sembrava un taglio netto con il passato. Se fossi entrato in un’altra squadra inglese mi sarei ritrovato in mezzo al solito vecchio circo, ai soliti vecchi problemi. Andare in America avrebbe invece voluto dire ricominciare da capo, trovarmi in un posto dove potevo andarmene in giro senza che nessuno mi riconoscesse. Ricominciai a pensare che i miei problemi avrebbero potuto svanire se avessi cambiato aria. Il Cosmos era di proprietà della Warner Communication e uno dei loro dirigenti di punta, Gordon Bradley, mi invitò a fare un salto da lui per dare un occhiata. Così scesi al Wessex House Hotel, davanti a Central Park, e vi rimasi per quasi una settimana mentre quelli del Cosmos mi scarrozzavano in giro e mi spiegavano i loro piani. Era tutto fatto in grande e la cifra che erano pronti a scucire per me era più che accettabile. Ma volevano che prestassi la mia immagine a molte campagne pubblicitarie e, come era ragionevole aspettarsi, che mi trasferissi a New York in pianta stabile. La cosa non mi andava. New York è una città fantastica, adoro immergermi per qualche giorno nella sua follia. Ma l’idea di andarci a vivere non mi attraeva granché...». C’erano però anche problemi legati ai soci in affari di Best in Gran Bretagna. E infatti George Best non indosserà mai la maglia dei Cosmos. E così, come poi accadde anche per Johann Cruyff, Best finì a Los Angeles.
La North American Soccer League all'epoca stava avendo grosse difficoltà a lanciare il calcio a LA. Il primo club fu in realta quello dei Wolverhampton Wanderers, "travestiti" da LA Wolves nella lega United Soccer Association, che ebbe vita breve. La USA si era modellata sulla International Soccer League di Bill Cox, un torneo estivo (50 anni prima di quelli attuali) che vedeva team europei e sudamericani giocare nelle varie città diventando un team "locale": ad esempio il Cagliari si trasformò in Chicago Mustangs. Un esperimento che ebbe successo in gran parte delle città, ma che non fu abbastanza per lanciare quello sporto "europeo" a Los Angeles.
A seguido della fusione tra USA e NPSL che diede vita alla North American Soccer League nel 1968, LA vide per un altro anno giocare gli LA Wolves, senza però i giocatori del Wolverhampton, e chiaramente il livello scese di molto. A fine stagione il club chiuse, lasciando la città degli angeli senza calcio per cinque anni. Avendo la necessità di essere presente sulla West Coast, la NASL lanciò i Los Angeles Aztecs nel 1974, insieme ad altri quattro club che si affacciavano sul Pacifico. E gli Aztecs iniziarono alla grande, vincendo subito il titolo NASL sotto la guida dell'italo-americano Alex Perolli, bravo a gestire un "team poliglotta" fatto di giocatori provenienti da Argentina, Brasile, Messico, Trinidad, Uruguay e ovviamente Stati Uniti. Best arrivò due anni dopo, convincendo gli Aztecs ad ingaggiare anche il suo amico Bobby McAlinden, cresciuto nelle giovanili del Manchester City e con alle spalle una carriera nelle divisioni minori.
Entrambi iniziarono bene a LA, con il campionato che presentava un livello di qualità abbastanza elevato da soddisfare Best, specialmente quando c'erano i grandi match contro club come NY Cosmos o Ft. lauderdal Strikers. Ma giocare davanti a poche migliaia di persone non era il massimo, e solo la presenza di Pelé era capace di attirare il grande pubblico negli stadi amerciani. Ciò però non impedì a Best di segnare 15 gol in 26 partite, e di essere inserito nel NASL All-Star Team nel 1976 e 77, con menzione anche nel 1978.
Il trasferimento dal piccolo impianto di El camino College all'enorme LA Coliseum, insieme all'ingaggio di alcuni giocatori messicani, non servì molto in termini di presenze allo stadio. Nella sua biografia Best ha ricordato come il club si allenasse all'Hollywood Racetrack e come i suoi fantasmi fossero tornati a perseguitarlo. Ma anche da alcolizzato, Best rimaneva un profesiionista ai massimi livelli, e pretendeva lo stesso dal club in cui giocava. Stufo della mancanza di progressi - in campo e fuori - da parte degli Aztecs, Best si trasferì a Ft. Lauderdale, in Florida, trovando almeno un pubblico ben più ampio ad apprezzarne le gesta.
Aveva ragione. La confusione infatti regnava sovrana a LA, dove furono ingaggiato in panchina il guru del calcio totale, Rinus Michels, e in campo "il profeta del gol". la leggenda Johann Cruyff. In sintesi la squadra cambiò lo stile da inglese, a messicano a olandese in soli tre anni. E le cose non migliorarono mai.
A quel punto della sua carriera Best aveva deciso di mollare del tutto il calcio britannico, dopo aver giocato per brevi periodi col Fulham nel 1976/77 e parte della stagione 1978 con gli scozzesi dell'Hiberian. Volato sulla costa atlantica, Besta aveva ormai adottato gli USA e la NASL come casa propria, impegnandosi più i quanto ci si potesse aspettare e mettendo a disposzione la sua esperienza, come quando consigliò al suo allenatore di evitare di sostituire i migliori Strikers per preparare al meglio gli shootout (che venivano usati al posto dei rigori, e ceratmente pù spettacolari)!
Negli anni al Lockhart Stadium Best mise in mostra tutte le sue staorrdinarie qualità, capaci sempre di rivoltare uina partita contro chiunque, e anche una notevole dose di professionalità, ben superiore a quella di altre star europee sulla soglia della pensione. Non abbastanza purtroppo da trascinare i Ft. Lauderdale Strikers sino alla vittoria del Soccer Bowl, anche perché si trovarono davanti gli imbattibili Cosmos, con Giorgio Chinaglia che segnava a raffica, e Franz Beckenbauer e Carlos Alberto a orchestrare il gioco da dietro. Ma Best continuò a giocare alla grande, nonostante qualche pausa, anche se la stampa britannica - come fece poi, erroneamente, anche con David Beckham ai Galaxy - liquidò la sua esperienza come una sorta di vacanza ben pagata con un po' di calcio estivo.
Ma Best della stampa britannica se ne fregava, mentre invece alla NASL teneva molto. Ma nel luglio 1979 arrivò la rottura con gli Strikers dopo un 3-0 contro i Cosmos Giants Stadium, in cui il nordirlandese accusò allenatore e compagni di mancanza di voglia di vincere. Pochi giorni dopo arrivò la risoluzione consensuale del contratto.
Sunset Boulevard
Best andò in America all'inizio del boom del soccer, e per lui come per gli altri l'obiettivo era quello di affrontare i primi "galacticos" della storia, i New York Cosmos. Ma nonostante alcune grandi partite, sprazzi della sua classe infinita ed anche una competizione di livello, per la stampa di casa sua la NASL rimaneva ridicola.Ma la questione la spiegò bene Clive Toye, ex giornalista del Daily Express prima di passare una decade da dirigente dei Cosmos e dei Toronto Blizzard 8dove portò Roberto Bettega nel 1983): “I media britannici sono stati completamente ciechi a tutto ciò che era relativo al calcio del resto del mondo, sino a che con l'inizio dell'enorme invasione di giocatori stranieri hanno realizzato che c'è qualcos'altro al mondo. Di conseguenza, se già il resto del mondo esisteva solo in astratto, come potevano non considerare il calcio USA spazzatura?". Best però se ne fregava, continuando a pensare solo al campo.
L'interesse di media e giocatori per la NASL toccò il picco nella seconda metà degli anni '70, ma a cavallo della decade le cose iniziarono a cambiare. Best decise di firmare per un altro anno ancora, tornando sulla West Coast, stavolta per indossare la maglia dei San Jose Earthquakes. Ma la NASL non era giù più la stessa degli anni di Pelé: i Cosmos avevano alzato troppo la barra, e gli altri non ce la facevano a reggere il passo di una multinazionale come la Warner. Ma poi la stessa Warner andò in crisi, a causa del flop miliardario del gioco ET della Atari, e il club fu "regalato" a Chinaglia, che ne celebrò la fine di lì a poco, con la lega che chiuse definitivamente i battenti nel 1984, incapace di strutturarsi in maniera stabile.
Best nel frattempo firmò un biennale coi Quakes, estendendo l'originale contratto di un anno, accentando di giocare persino nel campionato indoor che si teneva in inverno. Ma la qualità della lega stava calando, e anche Best era ormai in netto calo fisico, al punto da rinunciare nel 1982 alla convocazione per i Mondiali 1982. Best giocò la sua ultima partita il 19 agosto 1981. Prima dell'inizio della stagione 1982 la NASL perse sei team, inclusi gli LA Aztecs, scendendo dai 24 club del periodo 1978-1980 a 14. Poi il crollo in soli due anni.
Nella sua biografia “Blessed,” Best ha descritto bene il crollo della NASL. “Divenne sempre più un 'calcio della domenica', e tutto iniziò a disintegrarsi, passando da quella che era una lega di buon livello ad un campionato quasi dilettantesco". E ci sarebbero voluti oltre dieci anni per rivedere il calcio professionistico negli USA, con la nascita nel 1996 della Major League Soccer.
A perenne eredità del suo passaggio in America, oltre ad alcune immagini fantastiche che lo vedono a fianco di gente quale Elton John e Pelé, George Best lascò uno dei gol più belli della storia, paragonabile solo con quello di Diego Maradona all'Inghilterra, segnato quando giocava nei Quakes, il 22 luglio 1981 allo Spartan Stadium, proprio contro i suoi ex Strikers. Le immagini dicono tutto: 'Simply the Best'.
VIDEO: George Best - Greatest goal ever
A meno di 24 ore da un imbarazzante 3-0 casalingo col New England, seguito dalle critiche da parte delll'allenatore neozelandese Ryan Nelsen nei confronti del general manager Tim Bezbatchenko - colpevole secondo il coach di aver messo eccessiva pressione alla squadra - per Nelsen è arrivato l'esonero.
L'annuncio è stato dato dallo stesso Bezbatchenko in una conferenza stampa questa sera (vedi foto), in cui è stato contemporaneamente assegnato il posto di allenatore a Greg Vanney, 40 anni, sino ad oggi assistant GM e con in carico il settore giovanile, ed ex giocatore di LA Galaxy, Bastia (dal 2001 al 2005, arrivando sino alla finale di Coppa di Francia nel 2002) e DC United, tra le altre, oltre ad essere stato nazionale USA 36 volte e numero due del coach Robin Fraser al Chivas USA.
Insieme a Nelsen il TFC ha licenziato l'intero staff tecnico: gli assistant coach Fran O’Leary, Jim Brennan (primo capitano del TFC), Duncan Oughton, il preparatore dei portieri Stewart Kerr e quello atletico Adrian Lamb. All'assistant coach Jason Bent è stato invece offerto di rimanere col club.
Una rivoluzione evidentemente pensata da tempo, a seguito dei brutti risultati del Toronto FC, comunque ancora pienamente in zona playoff, ma che ha però avuto un'accelerazione improvvisa dopo l'attacco di Nelsen a Bezbatchenko, che venerdì aveva dichiarato che la squadra avrebbe dovuto iniziare a giocare meglio.
"Ho vinto la MLS, ci ho giocato per quattro anni, sono stato in Premier League per 10 anni, giocato i Mondiali, le Olimpiadi. Ho giocato molte partite sotto pressione", ha dichiarato Nelsen dopo pa partita persa coi Revs, "e una cosa che so è che questo match non era una partita di quelle [da grande pressione]". Nelsen non aveva apprezato l'uscita pubblica critica di Bezbatchenko.
“Ha avuto una ricaduta sui ragazzi", ha spiegato Nelsen riguardo le parole di Bezbatchenko. “Quello che facciamo al Toronto FC è lavare i panni sporchi in casa, teniamo le cose dentro le quattro mura. E giocatori, staff tecnico, ogni cosa, resta dentro le quattro mura".
Quella che non può essere negata è la pessima prestazione del TFC contro i Revs, e i due soli punti di vantaggio sul sesto posto.
L'esonero di Nelsen e dello staff tecnico arriva dopo che in settimana era stato reso noto che massimo nel giugno 2015 lascerà Toronto il CEO Tim Leiweke, l'autore del rilancio della società dell'Ontario, che in otto anni di vita non si è mai qualificata per i playoff, e portatore di una visione futura passata anche per un investimento da $100 milioni, con gli arrivi di Michael Bradley, l'inglese Jermain Defoe, e i brasiliani Julio Cesar (ora al Benfica) e l'attaccante Gilberto.
L'ulteriore novità di oggi è il possibile addio anche di Defoe, su cui c'è l'interesse del QPR di Harry Redknapp, e di cui Bezbatchenko non ha escluso la cessione, fors'anche solo in prestito, anche se non se ne comprenderebbe la ragione, viste le prove altalenanti di Gilberto e quelle non certo soddisfacenti dell'ex Aston Villa Luke Moore.
L'ex nazionale inglese, attualmente fermo per infortunio che lo terrà fermo sino alle soglie dei playoff, ha sino ad oggi segnato 11 reti in 16 match, dando un bero valore aggiunto al TFC sinché ha giocato con continuità. Chi invece sta almeno in aprte deludendo è invece Michael Bradley, forse stanco nel post Mondiale.
A Toronto intanto i tifosi sono in agitazione. Davanti a loro lo spettro di un ritorno a otto anni di cambi di allenatori, pessimi acqusiti e polemiche interne. Tutti sperano di sbagliare.
Oggi l'Inter presenta ufficialmente Pablo Daniel Osvaldo, sbarcato l'altro giorno con una chitarra in bella vista. Chissà magari vuole ravvivare i ritiri facendo da spalla a Javier Zanetti, nota ugola d'oro, che dà il meglio nel genere melodico di Ramazzotti. Proprio Eros è stato una colonna, insieme con Gianni Morandi, della Nazionale Cantanti che negli anni abbiamo imparato ad apprezzare non solo per le molte donazioni in beneficenza ma pure per l'abilità con i piedi dei suoi componenti: si capisce che molti musicanti hanno dei dignitosi trascorsi agonistici. Siamo meno abituati a vedere calciatori professionisti nei panni degli uomini di spettacolo, ed ecco perché la chitarra di Osvaldo ha colpito.
Può darsi che nell'incontro stampa odierno il particolare venga chiarito. Magari scopriamo di avere in casa un altro Alexi Lalas, cioè un cantante-chitarrista «serio» che riusciva pure a fare il calciatore di vertice.
Greco d'America. Arrivò a Padova nell'estate del 1994 dopo un Mondiale ben giocato con la Nazionale Usa. Difensore centrale portato ad attaccare (segnò un gol di rapina al Milan campione d'Italia), non particolarmente erudito sul piano tattico tanto da meritare ironiche frecciate di Zdenek Zeman, da lui liquidate con un pubblico vaffa, il nostro Panayotis Alexander aveva origini greche e look da cow-boy. Difatti venne accostato ai miti del west come il generale Custer o Buffalo Bill, ma pure a un personaggio dei nostri fumetti ovvero Kit Karson, il pard di Tex Willer.
Maglia e casa bianca. Il Padova allenato da Mauro Sandreani lo prelevò per mezzo miliardo, ingaggio compreso. Intanto, alla Casa Bianca, il disco «Woodland» realizzato da Lalas con la sua band Gypsies, conquistava la teen ager Chelsea Clinton, che apprezza pure gli album successivi, cioè «Far from close» del 1996 in cui suonano Antonio «Rigo» Righetti e Roby Pellati, amici di Luciano Ligabue, e «Ginger» del 1998. Segnaliamo agli appassionati del rock «So it goes» del 2010 e «Infinity spaces» uscito da poco. E così abbiamo citato tutte le pubblicazioni firmate da Lalas, che ha dedicato un suo pezzo a Bruce Springsteen e suonato col nostro Luca Barbarossa (apprezzato cantautore-centravanti).
Come Custer. Chi non lo ha mai visto in azione si chiederà: sì, ma il calciatore com'era? Beh, una forza della natura alla quale mancavano la malizia e l?addestramento dei nostri più arcigni difensori. Insomma, un corazziere generoso, irriducibile ma molto ingenuo, proprio come lo fu Custer a Little Big Horn. Il Padova riesce a salvarsi nello spareggio col Genoa.
L'anno dopo, però, le cose precipitano e Lalas perde il posto da titolare senza perdere la serenità quasi ascetica che lo caratterizzava. Ai tifosi che lo contestano mentre cena all'Osteria del Limbo replica così: «Abbiamo perso? Pazienza, non si può sempre vincere. L'importante è mettercela tutta e io mi sento a posto con la coscienza. Così, tornato a casa, ho fatto felice la mia ragazza (Jill, una californiana), poi ho suonato la chitarra e tutto è tornato com'era prima della partita».
Filosofia yankee alla quale i sanguigni patavini fanno fatica ad abituarsi. Specie dopo la retrocessione. E allora il terzo statunitense venuto da noi (ma i primi due, presi dalla Fiorentina negli anni Trenta, si chiamavano Alfonso Negro e Armando Frigo...) se ne torna in patria, dove vince subito il premio quale miglior calciatore della Major. Gioca a Boston, New York, Kansas City e Los Angeles. Sommando 96 presenze in Nazionale.
Diego e la maglia. Quando smette, diventa prima general manager e poi presidente del Galaxy, si dimette nel 2008 insieme con l'allenatore Ruud Gullit ma continua ad essere apprezzatissimo nelle vesti di commentatore della rete ESPN. E' riuscito a laurearsi in musica la scorsa primavera 26 anni dopo la prima iscrizione («la cosa più faticosa che abbia mai fatto»), ha tagliato barba e capelli ed è padre di due bambini. Racconta con orgoglio che Maradona, nella coppa America del 1995 gli chiese la maglia. Dite che apprezzava il cantante?
Fonte: Nicola Cecere - Gazzetta dello Sport, 7 agosto 2014
A spasso tra tigri, bombe e il fuoco di Saigon
L'articolo della Gazzetta dello Sport e la stessa storia raccontata da SoccerItalia.it a marzo 2014
Qualcuno ha il coraggio di lamentarsi dei faticosi ma remunerativi tour intercontinentali che vedono coinvolte le big d’Europa? Robetta da smidollati se paragonate a quanto fecero i Dallas Tornado nel 1967. Lì il problema non era il
fuso orario e la mancanza di preparazione. Lì volavano pallottole, esplodevano aerei, ringhiavano le tigri e pure gli avversari a volte passavano alle vie di fatto brandendo le bandierine del calcio d’angolo come spade. La più folle preseason che sia mai stata organizzata ha per protagonista la squadra texana alla vigilia della nascita di quella Nasl (National American Soccer League) che in seguito, negli anni 70, con i Cosmos di Pelé, Chinaglia e Beckenbauer, fece vivere al soccer statunitense un primo, effimero momento di gloria. A Dallas bisognava costruire una squadra da zero: si affidarono al serbo Bob Kap, cresciuto calcisticamente in Ungheria all’ombra di Puskas.
Kap fece incetta di giovani europei tanto che alla fine i Tornado disponevano in rosa di un solo americano, Jay Moore. Ma la follia fu che per reclutare giocatori e far fare le ossa a questa squadra internazionale e molto giovane i texani si imbarcarono in un tour lungo 7 mesi: percorsero 25mila miglia, toccando 26 Paesi e giocando 45 partite. Giocarono in Spagna contro il Real Oviedo e in Turchia contro il Fenerbahce di fronte a 25mila spettatori, sfidarono la nazionale giapponese a Tokyo e scesero in campo a Manila a Capodanno, ma soprattutto scamparono solo per un caso a un attentato terroristico a Cipro e si trovarono nel pieno della guerra del Vietnam.
Bombe e sassi Fu una temeraria corsa ad ostacoli. Diretti a Cipro da Atene la squadra perse l'aereo e salvò la vita: 45 minuti dopo il decollo una bomba fece saltare in aria il velivolo uccidendo le 63 persone a bordo ma non l’obiettivo dei terroristi, il generale greco Georgios Grivas, che salì a bordo dell’aereo successivo insieme ai texani. Il viaggio proseguì nei monti dell’Iran, con interminabili ore di pullman, diretti in Pakistan e poi da lì in India. Non proprio una passeggiata. Il passaggio dal Pakistan all’India, dopo 4 ore a bordo di un vecchio pulmino, fu un altro momento da ricordare: al confine dovettero lasciare il mezzo e farsi un chilometro a piedi fino alla dogana tra ribelli insultanti. Non tutti ebbero il visto: un gruppo di giocatori dovette restare al confine due giorni, praticamente senza cibo, coi doganieri terrorizzati da un generale che li vessava e il pericolo delle tigri nei dintorni. A Calcutta dovettero restare chiusi due giorni in hotel per motivi di sicurezza. Ma andò ancora peggio a Singapore, dopo essere passati indenni dalla Birmania. Al grido di «Yankees go home» furono presi a sassate dai tifosi locali e pure gli avversari non furono morbidissimi visto che uno di loro brandì inacciosamente la bandierina del corner contro i Tornado.
Stanchi ma felici Il clou del tour fu il match di Saigon, un 22 con la squadra locale con la tensione alle stelle: di lì a pochi ci sarebbe stata l’offensiva del Tet che modificò la storia della guerra in Vietnam. La squadra fece anche un tragitto a bordo di una cannoniera americana coinvolta in una sparatoria. A fine tour erano tutti «esausti, mentalmente e fisicamente», racconta uno dei reduci, Crosbie. Così esausti che nella prima partita della NASL persero 60 contro gli Houston Stars. Non andò meglio il resto della stagione: Dallas vinse 4 partite su 32, con 26 sconfitte e 81
di differenza reti. «Un folle viaggio che non si ripeterà mai piu», dirà ancora Crosbie. La Bbc ha riunito i superstiti di quella squadra per una trasmissione. Ma più che per un documentario, c’è materiale per un film di Hollywood.
Fonte: @pavanti - Gazzetta dello Sport
A volte la storia è come nel film "Sliding doors". Cosa srebbe accaduto infatto al calcio americano di oggi se la FIFA non avesse assegnato al Messico ma agli Stati Uniti l'organizzazione dei Mondiali 1986.
Ma quello è solo un lato della storia, e il difensore/centrocampista dei New York Cosmos anni '70/80, Carlos Alberto, ha recentemente deciso dio raccontare come sarebbero andate le cose con i Mondiali in America.
“Nessuno qui sa del perché il calcio professionistico si è fermato nel 1985", ha spiegato Carlos Alberto al sito EmpireofSoccer.com." Ma io lo so, perché ci stavo dentro".
Secondo Carlos Alberto, la china discendente per la NASL, e per il calcio in generale in America, non è stata dovuta alle spese eccessive dei Cosmos (e di qualche altro club che li inseguì), ma fu interamente dovuta all'aver preso i Mondiali 1986. Non una notizia, ma lo è invece la rivelazione di Carlo Alberto che ha spiegato come con i Mondiali alle porte i Cosmos e la Warner Communications sarebbero stati pronti a riversare milioni di dollari per rilanciare il campionato e anche Nazionale USA.
Nel mezzo dl proprio successo, e con un forte supporto internazionale, ad inizio anni '80 la NASL e Steve Ross iniziarono a preparare il piano Mondiali, che dovevano rappresentare l'ultimo sforzo per lanciare il calcio in America.
“Se avessimo avuto i Mondiali negli Stati Uniti nel 1986 invece del 1994... i Mondiali che gli americani avrebbero voluto vincee sono quelli dell'86- Se fossi stato lì, oggi sarei qui, non sarei mai tornato in Brasile", raccomta Carlos Alberto Torres, capitano del Brasile campione del mondo 1970.
“Sapete perché? Perché Steve Ross e i Cosmos redigettero una lista dei migliori 26 giocatori al mondo, e io fui parte delle trattative con alcuni. Il prezzo non era un problema per i Cosmos, avevano un sacco di soldi".
La lista conteneva alcuni dei nomi più importanti della storia del calcio, come ad es. Maradona, Zico, Junior e Falcao per nominarne alcuni. Nel tipo stile Cosmos, gli americani erano già in contatto coi giocatori prima ancora di vedersi assegnato il Mondiale. “Fui io a contattare Falcao. Giocava per la AS Roma e lo chiamai. Potete immaginare i 26 migliori calciatori al mondo giocare a calcio negli Stati Uniti?"
Il contatto con Falcao, con un'offerta da $3 milioni, in realtà fu rivelato all'epoca da Julio Mazzei, caoch dei Cosmos, al NY Times nell'aprile 1983 (giusto un mese prima dello Scudetto vinto dalla AS Roma), in occasione del ritorno di Beckenbauer ai Cosmos dopo l'esperienza all'Amburgo.
“Sfortunatamente la FIFA decise di assegnare i Mondiali al Messico", dopo la rinuncia della Colombia. "Steve Ross [presidente dei Cosmos e CEO della Warner] era molto dispiaciuto, e disse 'E' finita tra me e il calcio, non voglio essere più coinvolto' - racconta Carlos Alberto - e così Steve Ross decise che non ci sarebbe stato più il clacio in America. lo racconto perché io c'ero!”
Col suo sogno spezzato, Ross lascio la NASL morire lentamente. Carlos Alberto ricorda che i Cosmos richiamarono Franz Beckenbauer per il suo ultimo anno da calciatore, ma rifiutaronono di investire uteriormente su altri giocatori. Steve Ross aveva ormai perso ogni interesse, inziando anche a disertare i match dei Cosmos, lui che non si perdeva una partita. “Ecco cosa ha ucciso il calcio qui", spiega Carlos Alberto. "Non gli ingaggi, perché i soldi c'erano. Credetemi, questa è la ragione, Poche persone cononosco questa storia".
In realtà già Giorgio Chinaglia in passato fece qualche riferimento a questo piano, ma a causa della sua storia coi Cosmos da dirigente, finita male, e dei suoi rapporti pessimi con i media USA, probabilmente non venne preso sul serio.
“Sono triste, perché le persone che conoscono questa storia non l'hanno mai raccontata, ma io voglio farlo. Quando c'è qualcosa da dire, io lo faccio, non ho paura. E questa è la vera storia degli ultimi giorni del calcio negli Stati Uniti", spiega Carlo Alberto. Prima della rinascita iniziata coi Mondiali 1990.
Al massimo del loro fulgore, aa cavallo tra gli anni '70 e gli anni '80, i New York Cosmos erano conosciuti in tutto il mondo per l'aver assemblato il più impressionante numero di stelle del calcio mai visto, superato forse solo dai Galacticos del Real Madrid di oltre 20 anni dopo.
Nella breve storia dei Cosmos originali (1971-1984), furono ben 25 i giocatori che parteciparono ai Mondiali, con quattro che ebbero l'onore di alzare il trofeo. Un numero notevole, considerando che all'epoca la Nazionale USA era praticamente inesistente, e infatti fu assente dalla Coppa del Mondo dall'edizione 1954 per poi qualificarsi di nuovo solo nel 1990.
Il più grande ad aver mai indossato la maglia dei Cosmos (1975-1977) - e insieme a Diego Armando Maradona (che sarebbe potuto finire a NYC nel 1980 e poi nel 1984) anche ad aver calcato i campi di calcio - è stato sicuramente Pelé, che alzò la Coppa Rimet nel 1958, 1962 e 1970, anno in cui il capitano del Brasile vincitore era Carlos Alberto, che poi avrebbe raggiunto Pelé a NY nel 1977, rimanendovi sino al 1982 (con un breve passaggio ai California Surf nel mezzo).
Sempre nel 1977 - l'anno d'oro dei Cosmos, a NY arriva anche "Kaiser" Franz Beckenbauer, capitano della Germania Ovest campione del mondo 1974 e fresco di Pallone d'Oro. Con Carlos Alberto e Beckenbauer insieme i Cosmos sono a tutt'oggi l'unica squadra ad aver schierato insieme due capitani di Nazionali campioni del mondo.
Da non dimenticare che ad indossare la maglia dei NYC furono altri due campioni del mondo: Gordon Banks, che nel 1976 partecipò allo European Tour, e Rivelino nel 1977, anche lui per delle amichevoli.
Non ha vinto i Mondiali, ma ha giocato due finali, perdendole, l'olandese Johannes Neeskens (1979-1984), mentre il suo compagno di sempre prima all'Ajax e poi al Barcellona, Johann Cruyff, che ai tanti impegni internazionali dei Cosmos alla fine preferì LA, indossando la maglia del club di NYC solo per due amichevoli.
Due soli gli italiani: Giorgio Chinaglia e Pino Wilson, che dopo aver vinto lo Scudetto con la SS Lazio nel 1974,parteciparono ai Mondiali in Germania, per poi trasferirsi in America (Wilson solo per la stagione 1978, vincendo il Soccer Bowl).
Attualmente coi "nuovi" Comos milita il brasiliano naturalizzato spagnolo Marcos Senna, che con le Furie Rosse ha giocato i Mondiali 2006 (e ha poi vinto gli Europei 2008) portando a 26 il numero totale di giocatori dei Cosmos ad aver giocato i mondiali. In cinque, il polacco Wladyslaw Zmuda (passato anche per Verona), i paraguayani Roberto Cabanas e Julio Cesar Romero, i canadesi Gerry Gray e Bruce Wilson, hanno indossato la maglia della propria Nazionale ai Campionati del Mondo in Messico nel 1986, due anni dopo la chiusura del club.
Di seguito una lista di tutti i giocatori ex Cosmos che hanno rappresentato il proprio paese ai Mondiali (tra parentesi gli anni a NY):
BELGIO (1)
Francois Van Der Elst, Belgium 1982 (1980-81)
BRASILE (5)
Pelé, Brasile 1958, 1962, 1966, 1970 (1975-77)
Jose Oscar Bernardi, Brasile 1978, 1982, 1986 (1980)
Carlos Alberto Torres, Brasile 1970 - capìtano (1977-80, 1982)
Rildo da Costa Menezes, Brasile 1966 (1977)
Francisco Marinho, 1974 Brasile (1979)
CANADA (2)
Bruce Wilson, 1986 (1980)
Gerry Gray, 1986 (1983)
CECOSLOVACCHIA (1)
Josef Jelinek, 1962
GERMANIA (1)
Franz Beckenbauer, Germania, 1966, 1970, 1974; CT 1990 (1977-80, 1983)
IRAN (1)
Andranik Eskandarian, 1978 (1979-84)
ISRAELE (2)
David Primo, 1970 (1975)
Mordechai Shpiegler 1970 (1975)
ITALIA (2)
Giorgio Chinaglia, 1974 (1976-83)
Giuseppe “Pino” Wilson, 1974 (1978)
OLANDA (2)
Johan Neeskens, 1974 e 1978 (1979-84)
Wim Rijsbergen, 1974 e 1978, allenatore in seconda 2006 (1979-83)
PERU' (1)
Ramon Mifflin, 1970, 1974 (1976-77)
PARAGUAY (2)
Roberto Cabanas, 1986 (1980-84)
Julio Cesar Romero, 1986 (1980-83)
POLONIA (2)
Wladyslaw Zmuda, 1974, 1978, 1982, 1986
SPAGNA (1)
Marcos Senna, 2006 (2013-14)
URUGUAY (1)
Omar Caetano, 1966, 1970 (1975)
JUGOSLAVIA (2)
Vladislav Bogecevic, 1974 (1978-84)
Ivan Buljan, 1974 (1981-82)
La Coppa del Mondo 1994 era stata un successo sotto tutti i punti di vista. Dopo il mondiale del '94 altri giocatori avevano lasciato la madrepatria quali Claudio Reyna e Alexi Lalas, quest'ultimo approdato addirttura in Italia tra le file del neopromosso Padova. Bora Milutinovic e la macchina organizzativa americana avevano centrato i risultati prefissi, ma Milutinovic una volta terminato il contratto come suo solito fece le valigie in cerca di una nuova elettrizzante sfida impossibile, mentre la USSF peccò un'altra volta di scarsa esperienza e mancanza di vedute a lungo raggio promuovendo a coach della Nazionale a stelle e strisce Steve Sampson, secondo di Milutinovic dal 1993 e che prima di allora aveva ben poca esperienza alle spalle. Nel suo povero curriculum figuravano esperienze di allenatore presso la Mountain View High School, allenatore in seconda di Foothill College e UCLA, e prima di essere nominato assistant coach di Milutinovic allenava la squadra universitaria dell'Università di Santa Clara, dove nel 1989 aveva vinto un campionato N.C.A.A., un po poco per poter allenare una nazionale per giunta con mire abbastanza ambiziose…
Dopo i Mondiali la prima arriva allo Wembley Stadium il 7 settembre 1994, pcontro la decaduta Inghilterra che cerca di risalire la china sotto la guida del neo allenatore Terry Venables, e in cerca di rinvincita dopo la sconfitta dell'anno prima. Che arriva: 2-0
HIGHLIGHTS: Inghilterra vs. USA 2-0
L'EXPLOIT IN COPA AMERICA
Nel giugno 1995 a Foxboro va in scena la US Cup '95, con debutto dell'organizzazione di supporters, chiamata Sam's Army, al seguito della nazionale Usa. Gli USA battono NIgeria (2-1), Messico (4-0) e pareggiano 0-0 con la Colombia, vincendo il torneo. Preparazione ideale per la Copa America, dove questa volta gli Usa partecipano con la prima squadra.
L'esordio nella competizione avviene a Paysandu in Uruguay l'8 Luglio '95 e sorprendentemente gli Usa hanno ragione del Cile per 2-1 con doppietta di Eric Wynalda al 15' ed al 29'. La notizia fa il giro del mondo, ma le cose sembrano tornare alla normalità quando sempre a Paysandu la Bolivia si impone di misura sugli Stati Uniti tre giorni dopo. Il prossimo avversario sono i temibili argentini, al tempo numero otto nella classifica FIFA, e si suppone che con certezza quasi matematica gli americani faranno le valigie, ma ancora una volta il mondo viene zittito di fronte al clamoroso risultato che vede gli Usa prevalere sull'Argentina per ben 3 reti a 0, con reti di Frank Klopas al 21', Alexi Lalas dieci minuti dopo, ed Eric Wynalda al 58'. Il 17 Luglio 1995 è il turno del Messico, e dopo una partita terminata 0-0 gli Usa avanzano ai calci di rigore per 4-1, avanzando così alle semifinali dove però nel piccolo stadio di Maldonado il Brasile, imminente vincitore del torneo, si impone di misura il 20 Luglio 1995. Due giorni dopo, sempre a Maldonado la Colombia sbaraglia gli Usa per 4-1 con goal della bandiera di Joe-Max Moore al 52'. Nonostante l'epigologo a coda di pesce gli Usa chiudono al quarto posto in Copa America, un altro importante passo per il soccer Usa anche in vista dell'imminente nascita della MLS.
HIGHLIGHTS: Argentina vs. USA 0-3
BATTUTO IL BRASILE IN GOLD CUP
Nel 1996 c'è la Gold Cup, ma il Brasile, ospite con la suia Under 23, mette fuori gli USA in semifinale. Ma intanto il 6 aprile 1996 nasce ufficialmente la MLS, per cui da questo momento la nazionale Usa non sarà più trattata come un club come era invece successo per quasi un decennio e gli Usa avranno finalmente un campionato nazionale degno di tale nome, dodici anni dopo la fine della NASL, da molti considerato il punto di non ritorno.
La qualificazione ai Mondiali viene ottenuta dagli americani senza troppi problemi, e in un'edizione della Gold Cup stranamente tenuta a febbraio, gli USa fanno la storia battendo a Los Angeles in semifinale il Brasile di Romario per 1-0. La storica rete ò di Preki (ex Everton, due volte MLS MVP) al 76', con tiro dai venticinque metri dopo aver scartato un difensore brasiliano, con eroe della serata il portiere Kasey Keller, un muro insuperabile per la Seleçao. La notizia fa il giro del mondo ma non c'è tempo per cullarsi sugli allori perchè cinque giorni dopo gli Stati Uniti devono affrontare in finale il Messico che fino a quel momento si è dimostrata la squadra migliore del torneo. In un Rose Bowl brulicante di 91255 spettatori il Messico, grazie ad una rete di Hernandez allo scadere del primo tempo vince la sua terza Gold Cup consecutiva con grande frustrazione degli americani.
HIGHLIGHTS: USA vs. Brasile 1-0
I MONDIALI DI FRANCIA
Nel percorso verso i Mondiali la novità più importante è tra i convocati. Rimane infatti fuori dai 23 John Harkes, allora lo yank Abroad di maggior sucesso tra gli americani. Motivo ufficiale: “leadership issues”. Solo nel 2010 si viene a sapere che il CT Sampson decise la sua esclusione a causa di una relazione tra Harkes e la moglie del compagno di Nazionale Eric Wynalda. un caso simile a quello tra John Terry e Wayne Bridge 12 anni prima, solo che allora la scelta del CT fu netta. Altra sorpresa fu l'inclusione in dirittura d'arrivo pre convocazioni del terzino sinistro naturalizzato (di origine francese, della Martinica) David Regis , scoperto da Sampson durante la tournée del 1997, che però pur ben figurando, tolse il posto al veterano Marcelo Balboa e all'inizio la squadra lo visse come un corpo estraneo.
Il 15 giugno 1998 a Parigi gli Usa esordiscono al Mondiale di Francia affrontando la Germania, che ha ragione degli americani per 2-0 con gol di Andreas Moeller e Jurgen Klinsmann. Sampson puntava su Claudio Reyna quale faro della squadra, ma i tedeschi furono bravi ad ingabbiarlo, e tutta la squadra soffrì molto l'esordio, dando sensazione di estrema debolezza. La sconfitta comunque era preventivata, visto il dislivello tra le due squadre, erestavano comunque da giocare le partite contro Iran e Jugoslavia, che nonostante fosse stata ridotta dalla guerra alla sola Serbia e Montenegro era ancora una nazionale di una certa caratura.
HIGHLIGHTS: Germania vs. USA 2-0
Il 21 giugno la squadra Usa affronta gli iraniani in una partita alla quale è stata data una valenza più politica che non sportiva viste le crisi diplomatiche tra i due paesi dal 1979 in poi, e in Iran la propaganda degli ayatollah segue con grande attenzione il match contro quello che loro chiamano “il grande Satana”. L'atmosfera è calda e gli Usa devono assolutamente vincere se vogliono passare il turno, ma per la gioia degli ayatollah e la delusione degli americani l'Iran si impone sugli Usa per 2-1 con reti di Hamid Estili di testa al 40' e di Mehdi Mahdavikia all'84', con in mezzo ben 4 pali degli americani all'attacco alla disperata. Inutile infine la rete di Brian McBride all' 87' che rende meno pesante il passivo ma non toglie l'umiliazione di essere stati eliminati dalla Coppa del Mondo peraltro da un avversario calcisticamente parlando assai modesto.
HIGHLIGHTS: USA vs. Iran 1-2
Il 25 giugno a Nantes, senza più nulla da chiedere gli Usa affrontano la Jugoslavia dalla quale vengono sconfitti di misura, 1-0, gol di Slobodan Komljenovic su punizione di Sinisa Mihajlovic. Nell'occasione – assai calda per il coinvolgimento americano nelle guerre balcaniche – gli USA mettono in campo la miglior prestazione del loro torneo, non abbastanza però.
HIGHLIGHTS: Jugoslavia vs. USA 1-0
Si conclude mestamente l'era Sampson al quale resta comunque l'onore di aver portato gli Usa al quarto posto della Copa America, di aver battuto il Brasile e di aver qualificato gli Usa a Francia '98, e non è poco per un allenatore che fino a quel momento aveva allenato solo a livello di college, mostrando spesso però dei limiti nella gestione del team). Resta però l'amarezza per le varie Gold Cup sfiorate ma non vinte ed un Mondiale che forse poteva andare meglio. Ironia della sorte, il suo successore sarà quel Bruce Arena al quale nel 1985 aveva soffiato il campionato NCAA.
E' una calda serata il 14 giugno 1990. La partita deve ancora iniziare ma il pubblico e già impegnato nell'allestimento della ola. Ci sarà da ondeggiare parecchio stasera, devono aver pensato, e allora meglio mettere a punto la coreografia. Ma l'Italia che scende in campio dà subito l'impressione di non voler riproporre i travolgimenti marosi con i quali aveva annegato l'Austria. Il CT Azeglio Vicini ha spiegato quale deve essere la rotta e quale la velocita: da crociera, perche l'importante è ridurre al niente la possibilità che la patacca siano i turistici calciatori americani a rifilarcela.
Stiamo ai confini della realtà ma Vicini, si sa, guarda con sospetto anche la sua ombra e alle prime mosse gli yankee non sembrano quegli ectoplasmi che erano stati fotografati dalla Cecoslovacchia. Al 6' dopo una punizione, con schema, John Harkes impegna Walter Zenga. Gli azzurri si danno una sgrullata e un attimo dopo Nicola Berti, servito dal romanista Beppe Giannini (nella foto sopra inseguito da Marcelo Balboa) si fionda in area, ma il portiere Meola lo anticipa in scivolata. L'Italia è consapevole della sua superiorità e sembra snobbare un tantino i volenterosi ragazzi americani. Forse non è nemmeno snobbismo ma solo tranquilla attesa che la storia faccia il suo corso. E all'11' Il Principe decide che è giunto il momento.
Azione Carnevale, Donadoni. Il milanista mette al centro per Gianluca Vialli che fa velo per Giannini e il principe strappa un gol bello per prepotenza e stile: salta tutti i «birilloni» della difesa Usa e poi con gran scioltezza e coordinazione fulmina il portiere Tony Meola. E adesso via con la goleada, chiede il pubblico dell'Olimpico. Macchè, gli azzurri riprendono il loro accademico tran-tran che non viene spezzato nemmeno da Berti che nelle intenzioni del cittì azzurro avrebbe dovuto guidare il nostro Settimo cavalleggeri all'assalto del debole Forte americano. Al 15' ci prova il milanista Roberto Donadoni con una vellutata punizione che spolvera la traversa, lo "zio" Beppe Bergomi regala sprazzi di partita facendo a capocciate con Michael Windischmann: lo scontro finisce in parità con un livido per parte.
Gli azzurri tentano di andar via in eleganza e Andrea Carnevale con un passaggio da «atélleur» serve lo stilista della fascia sinistra del Milan e figlio d'arte, Paolo Maldini. Cross e Donadoni prova ad indossare i panni dell'incornatore ma il tiro e buono solo per far fare bella figura al portiere Meola. La goleada non arriva mentre piovono fischi sul gioco rinunciatario dell'Italia. Ad un certo punto gli azzurri vengono «assediati» nella loro meta campo dai perplessi americani, Donadoni con un'azione alla Bruno Conti rompe il fugace accerchiamento ma gli Usa non tremano più di tanto e l'onorevole sconfitta sembra alla loro portata. Ma all'improvviso si mette in moto la cavalleria. È il sauro Berti che va al galoppo dentro l'area, Paul Caligiuri lo azzoppa all'entrata e con l'aggiunta di uno spenzolare tuffo l'arbitro si convince a decretare il rigore. È il 33' quando con dinoccolata sufficienza Vialli si avvia a calciare il pallone del possibile raddoppio. Ma Vialli, invece, lascia e centra in pieno il palo alla destra di Meola.
Boato di delusione che Vialli prova a spegnere dieci minuti dopo infilando elegantemente il numero uno americano, ma il messicano Codesal fischia il plateale fuorigioco. E sono sempre sibili quelli che accompagnano l'inizio della ripresa. Il pubblico si aspettava la goleada e si ritrovano a tifare un Italia sparagnina anche nel gioco. Vicini riprova, allora con il vìncente schema della partita d'esordio: entra Totò Schillaci ed esce Carnevale. Non sembra che le cose cambino di molto. Giannini e Donadoni fanno girare la testa agli americani con le loro serpentine ed i loro guizzi, ma i «plasmoniani» dilettanti mondiali la perdono del tutto. Anzi riescono pure a connettere qualche contropiede, quando l'Italia si fa troppo sfilacciata. Di nuovo fischi, interrotti solo da un «oh!» per un colpo d tacco di Maldini che scuote la rete, esterna.
Dai fischi si passa ai singulti. Al 70' c'è una punizione dal limite degli Stati Uniti. Murray fa partire una randellata che rintrona Zenga. Sulla respinta si avventa Peter Vermes [attuale allenatore dello Sporting KC campione in carica MLS, Ndr], nuova staffilata e Zenga si salva con una botta di culo. Nessuna metafora, la palla gli passa in mezzo alle gambe e riesce provvidenzialmente a smorzarla con le natiche, poi Riccardo Ferri spazza via quasi sulla linea. Gli Azzurri provano a spazzar via la contestazione che monta. Ma non c'è niente da fare. A cinque minuti dalla fine Schillaci potrebbe rifare il verso a se stesso, azione quasi identica a quella del gol contro l'Austria. Cross di De Napoli, Schillaci salta ed incorna al centro dell'area ma la palla finisce nelle braccia di Meola. Niente abbracci ma soltanto urla per questa Nazionale che stavolta non finisce in gloria, e che terminerà la propria avventura nella sfortunata semifinale persa ai rigori contro l'Argentina di Diego Armando Maradona e Claudio Caniggia.
HIGHLIGHTS: Italia vs. USA 1-0 (Giannini 11')
Vicini: «Due più due quattro»
Ct matematico. Il pallottoliere non è servito ma la qualificazione è ora sicura: «La staffetta Carnevale-Schillaci ? Nessuno si deve lamentare»
Aveva ragione lei. Vicini. Partita per niente facile. Il pallottoliere non e servito e poi comunque gli Stati Uniti hanno giocato la loro partita.
«Si, direi proprio che avevo ragione io. Comunque l'importante è che l'obiettivo è stato raggiunto: questa vittoria per 1 a 0 ci qualifica matematicamente, ora siamo più tranquilli. Dover aspettare l'ultima gara ci avrebbe dato notevoli fastidi. La partita ha subito preso una buona piega, poi il rigore sbagliato ci ha un po' frenati... Voglio dire che se lo segnamo forse le cose cambiano. Direi inoltre che anche stavolta ci è mancata un pizzico di fortuna in fase di conclusione. Ma la fortuna la troveremo in futuro...Per la verità, io m'auguro anche che in futuro non si sottovalutino più squadre come questa. Sì, avevo ragione io alla vigilia, quando dicevo che avremmo dovuto giocarla tutta fino in fondo, questa partita. Gli Stati Uniti avevano perso e male contro la Cecoslovacchia, ed era assolutamente ovvio che cercassero contro di noi un'occasione di riscatto. E' impensabile che nove giocatori di grande buona volontà, piena di forza e un altro paio che poi sanno anche giocare a pallone, si rassegnassero a fare brutte figure. Era assolutamente impossibile che questa accadesse. Le squadre materasso non ci sono proprio più, questo lo ha insegnato anche la fetta di mondiale che abbiamo visto finora».
[...] E' sempre convinto che Berti sia il sostituto ideale di Ancelotti? Certe avanzate di Berti in attacco, hanno costretto Giannini ad arretrare. Questo è sembrato evidente soprattutto nel secondo tempo.
«Berti ha spinto bene per tutti e novanta i minuti. Giannini, nella ripresa, s'e messo dietro, perchè era tutta la squadra che doveva tornare indietro per cercare di stanare gli Stati Uniti, per costringerli in qualche modo, a uscire dalla loro area. Berti e andato bene, non cerchiamo sempre di far sembrare indispensabili quelli che mancano».
Il pubblico dell'Olimpico prima ha invocato Schillaci, poi ha chiesto l'ingresso di Baggio. Quindi, verso la fine, ha anche fischiato.
«Ho sempre detto che giocare in casa questo mondiale ci dava più possibilità di vittoria ma nessun vantaggio. I fischi, alla fine, ci potevano anche stare. Ma il pubblico s'e fatto influenzare dal 5 a 1 con cui la Cecoslovacchia aveva battuto gli Stati Uniti. La verità è che poi, qui, gli Stati Uniti hanno fatto un'altra partita, più attenta, più accorta».
[...] Vicini si alza e lascia il posto a Gansler, il ct statunitense. Uno che stasera s'e preso qualche soddisfazione:
«Abbiamo potuto finalmente dimostrare la nostra reale forza. La partita contro la Cecoslovacchia ci la aiutato ad entrare nel clima del mondiale. Quei cinque gol sono stati un'esperienza utile, abbiamo imparato bene la lezione. L'Italia se ne e accorta».
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14 giugno 1990 (21.00) Roma, Stadio Olimpico
Italia vs USA 1:0 (1:0)
Marcatori: ITA - Giannini 11' (al 20' Vialli ha sbagliato un rigore)
Italia: Walter Zenga, Franco Baresi, Giuseppe Bergomi, Riccardo Ferri, Paolo Maldini, Nicola Berti, Fernando de Napoli, Giuseppe Giannini, Andrea Carnevale (Salvatore Schillaci 51'), Roberto Donadoni, Gianluca Vialli
USA: Tony Meola, John Doyle, Jimmy Banks (John Stollmeyer 80'), Michael Windischmann, John Harkes, Tab Ramos, Peter Vermes, Desmond Armstrong, Bruce Murray (Christopher Sullivan 82'), Marcelo Balboa, Paul Caligiuri
Arbitro: Edgardo Codesal Méndez (México)
Ammoniti: Riccardo Ferri 69', Jimmy Banks 62'
Spettatori: 73.000
VIDEO: Guarda l'intera partita
Fonte: Storie di Calcio
Quando Bora Milutinovic prese in mano le sorti della Nazionale USA la situazione non era allo sbando come molti potevano pensare. Il suo predecessore Bob Gansler, sebbene sollevato senza troppi complimenti, aveva comunque centrato l'obbiettivo storico della qualificazione ai Mondiali 40 anni dopo la storica apparizione della prima edizione del dopoguerra. Quello che mancava a Gansler, era l'esperienza internazionale necessaria per poter effettuare quel salto di qualità che non era avvenuto durante la sua gestione, e con i mondiali Usa '94 alle porte la federazione aveva bisogno di un uomo che fosse in grado di portare la nazionale stelle e strisce dove nessuno aveva mai nemmeno immaginato.
Probabilmente la scelta cadde su Milutinovic in quanto aveva già allenato club e nazionali di tutto il mondo quasi sempre con ottimi risultati, ultima ma non ultima l'ottima performance sotto la sua gestione dell'esordiente Costarica, arrivata fino agli ottavi di finale durante l'edizione mondiale Italia '90, coronata con una storica vittoria per 1-0 sulla Scozia. A parte l'esperienza, Milutinovic aveva probabilmente una cosa che forse Gansler non aveva saputo trasmettere ai suoi ragazzi: la mentalità vincente.
Bora sapeva che gli Usa dovevano per forza ben figurare durante i mondiali da loro stessi organizzati, un insuccesso non sarebbe stato perdonato in alcun caso, anche perché avrebbe compromesso le sorti del soccer Usa per sempre. Partendo da questi presupposti Milutinovic chiese ed ottenne carta bianca, e considerando che negli Stati Uniti non esisteva ancora un campionato professionistico degno di tale nome e che i Mondiali sarebbero stati cruciali per la nascita di una nuova lega calcio professionista, con il plauso della federazione Usa trattò la nazionale come un club, così come era successo durante la precedente gestione. Ma quello che cambiò, a parte il numero delle partite giocate, fu anche il calibro degli avversari, questo sia per accrescere nel suo team l'esperienza internazionale delle giovani leve che lo componevano, sia per far capire loro la tecnica e la potenza delle squadre più titolate nel mondo calcistico, così da ottenere dai suoi uomini dedizione, umiltà ed impegno, facendo loro comprendere che un pareggio col Canada ad esempio non era un qualcosa di cui gloriarsi.
Diverso e più utile sarebbe stato con una potenza come il Brasile. Poco prima del suo arrivo, il coach ad interim John Kowalski aveva dovuto cimentarsi nella North American Cup, competizione antesignana della Gold Cup. Il suddetto torneo era in pratica un triangolare con Canada e il ben più titolato Messico. L'esordio della nazionale USA dopo l'era Gansler arrivò il 12 marzo del 1991 a Los Angeles contro il Messico, voglioso di rivincita contro l'odiato vicino dopo l'esclusione alle qualificazioni di Italia '90. La partita finì 2-2, risultato storico ed inaspettato per gli USA, di fronte a soli 5.261 spettatori. Le reti furono dell'esordiente Washington e del veterano Murray. Il seguente e conclusivo match della competizione si tenne a Torrance, sempre in California, di fronte a 4.000 persone contro la nazionale canadese, il risultato fu di 2-0 per gli USA, con reti ancora una volta di Washington e Murray e conseguente vittoria del trofeo, che dava una forte iniezione di ottimismo nell'ambiente calcistico Usa in vista anche della Gold Cup che si sarebbe tenuta nell'estate dello stesso anno in California, con generosi sponsor a quest'uopo mobilitatisi, e che da quel momento sarebbe stata organizzata in maniera costante ogni due anni con maggiorato interesse, vista anche la finale al Rose Bowl di Pasadena.
Prima della Gold Cup però tre importanti e significative amichevoli vennero giocate contro nazionali titolate o comunque di una certa consistenza. La prima di esse, esordio assoluto di Milutinovic alla guida della nazionale Usa, si tenne il 5 maggio 1991 a Denver contro la storica nazionale Celeste, vale a dire l'Uruguay, che sebbene in decadenza da alcuni anni era pur sempre vincitore di due edizioni della Coppa del Mondo, 1930 e 1950, ed ai Mondiali del '90 era comunque arrivato agli ottavi di finale, eliminata dall'Italia. La sorte volle premiare i 35.772 spettatori accorsi al seguito della nazionale Usa con una clamorosa quanto inaspettata vittoria yankee per 1-0, con rete segnata al 26' dal veteranoPeter Vermes (oggi coach dei Kansas City wizards della MLS).
L'ottimismo che con la fine dell'era Gansler si era volatilizzato, dopo i primi risultati positivi si era magicamente rimaterializzato. Questo grande afflusso di pubblico fece subito capire le potenzialità del bacino americano, di quella base di appassionati che per ora vivacchiava grazie alle leghe semipro ed alle leghe indoor, ma allo stesso tempo fece anche capire che gli americani non si sarebbero accontentati di surrogati di soccer di terzo e quarto ordine e che per seguire il gioco più bello del mondo volevano dei vincenti.
La seconda amichevole di preparazione fu tenuta sempre in California il 19 maggio, ma questa volta a Palo Alto, contro l'Argentina finalista ai Mondiali '90 visibilmente svecchiata nell'organico, con giocatori all'esordio quali Gabriel Batistuta ed altri. La partita terminò per 1-0 per gli argentini, ma gli USA ben figurarono di fronte ai 31.763 paganti accorsi ancora una volta al seguito.
L'ultima delle tre amichevoli in programma si tenne invece a Foxboro, nelMassachussets dove, contro la Nazionale dell'Eire, che aveva esordito nella fase finale dei Mondiali '90 arrivando fino ai quarti di finale (anch'essa eliminata dall'Italia). Complice forse la forte componente di cittadini a discendenza irlandese nel Massachussets, i 51.723 presenti colorarono lo stadio in gran parte di verde. Il risultato fu di 1-1 con goal degli americani segnato da Eric Wynalda.
Con queste ottime prestazioni ed un clima di generale ottimismo, gli Usa si avviavano a disputare la Gold Cup tra le mura amiche californiane, ma rimaneva il tempo per un'amichevole di lusso col AC Milan -in tournée tra Canada e Stati Uniti – al Soldier Field di Chicago. Un 1-1 che soddisfa di certo più gli americani. Il goal del vantaggio milanista è segnato dall'olandese Marco Van Basten, mentre l'onore degli Usa è salvato pochi minuti dopo dall'uruguagio naturalizzato americano Hugo Perez.
HIGHLIGHTS: USA vs. AC Milan 1-1
L'esordio degli Usa nella competizione fu il 29 giugno 1991 contro Trinidad & Tobago, rabbiosi per la mancata qualificazione ai mondiali del '90 di appena un anno prima, ma finì con una vittoria Usa, seguita da un 3-0 al Guatemala (Murray, Quinn e Wynalda) e un 3-2 al Costarica. Superata la prima fase la nazionale a stelle e strisce si trovò davanti i temibili messicani, mai battuti in una competizione ufficiale dal lontano 1934, quando un match preliminare per accedere ai mondiali fu vinto per 4-2 dagli Usa all'allora Stadio del PNF a Roma (oggi Flaminio -ndr-). Dopo ben 57 anni, il 5 luglio 1991 gli Usa si ripeterono contro il Messico davanti a 41.103 tifosi (in gran parte messicani) accorsi al Rose Bowl di Pasadena, accedendo alla finale con un rotondo 2-0 ad opera di John Doyle e Peter Vermes, in un' atmosfera di incredulità generale. La finale venne giocata il 7 luglio 1991 sempre a Pasadena, contro la Nazionale dell'Honduras., con vittoria ai rigori e prima Gold Cup per gli Stati Uniti. Milutinovic aveva centrato il suo primo obiettivo. Con la conquista della Gold Cup gli Usa si erano scrollati di dosso quell'etichetta di perdenti e di eterni esordienti totali nel soccer, qualcosa era cambiato, un altro passo da gigante era stato compiuto.
HIGHLIGHTS: USA vs. Messico 2-0
Molti giocatori che si erano messi bene in vista durante Mondiali 1990 e Gold Cup erano stati ingaggiati da club europei: Tab Ramos e Peter Vermes (Figueres, Spagna), John Harkes (Sheffield Wed., Inghilterra), Kasey Keller (Milwall, Inghilterra), Thomas Dooley (Kaiserslautern, Germania), Ernie Stewart (Tillburg, Olanda), Paul Caligiuri (Hansa Rostock, Germania Est, ma già nel Meppen nella serie B tedesca dal 1987 al 1989) A questi veterani si aggiunse poi una nuova generazione di giocatori che dopo l'esordio della nazionale olimpica a Barcellona '92, si sarebbe presto integrata nei ranghi della nazionale di Milutinovic. Questi giovani atleti erano nell'ordine Brad Friedel, Mike Burns, Alexi Lalas, Claudio Reyna, Cobi Jones,Joe-Max Moore, Mike Lapper e Chris Henderson, che avevano già esordito nella nazionale under 20 e che avrebbero avuto un forte impatto sia sui mondiali Usa '94 che sulla erigenda MLS pochi anni dopo.
La vittoria in US Cup contro l'Italia. Nel 1992 ecco la Us Cup '92, un torneo organizzato dalla U.S.S.F., con finale contro l'Italia al Los Angeles Coliseum il 6 giugno '92. La stampa Usa come spesso è accaduto snobba l'avvenimento e prevede una goleada per la nazionale italiana. Contro tutti i pronostici gli Usa pareggiano 1-1 con goal di John Harkes a riportare il risultato in parità dopo il vantaggio di Roberto Baggio dopo soli 2', e per differenza punti la coppa viene assegnata agli americani. Il tutto di fronte a 26.874 spettatori, un ottimo numero considerando che lo stesso giorno venivano giocate a Los Angeles e altrove partite importanti per il campionato NBA.
HIGHLIGHTS: Italia vs. USA 1-1
Nel 1993 il comitato organizzatore Usa '94 stava cercando sponsor per la competizione a tambur battente, ed adattando gli stadi per il soccer, con la scelta delle città di Foxboro(Boston), New York (Giants Stadium), Washington DC, Orlando, Palo Alto, Pasadena, Chicago, Dallas e Detroit (la prima partita giocata in una struttura indoor con manto erboso temporaneo). La ricerca degli sponsor e dei contratti televisivi andò a gonfie vele, con l'assegnazione dei diritti di trasmissione del mondiale alle reti ABC ed ESPN. La vendita dei biglietti andò anche essa ottimamente, l'ambiente calcistico americano era ansioso che la competizione cominciasse per dimostrare agli scettici che anche gli Usa erano capaci di organizzare un evento calcistico di tale portata. Per quel che riguarda la nascita di una lega professionista, la A.P.S.L., con il fallimento della Canadian Soccer League si era arricchita dei team Toronto Blizzard, Montreal Impact e Vancouver '86, e reclamava a gran voce lo status di serie A, in quanto era rimasta l'unica lega outdoor di una certa consistenza dopo il fallimento di A.S.L. e L.S.S.A. ma le ambizioni del commissioner Willam De La Pena vennero frenate dal gruppo di investitori capeggiato e caldeggiato da Alan Rothenberg, in più una terza cordata capeggiata dall'italo-americano Jim Paglia si era messa in moto, spalleggiata da un gruppo di costruttori che si prefiggevano di costruire nuovi stadi con grandi centri commerciali annessi. Alla fine, ubi maior minor cessat, e il gruppo di Alan Rothenberg, spalleggiato dai più influenti e abbienti sponsor vinse la gara d'appalto per creare una nuova lega calcistica che avrebbe preso il posto della N.A.S.L., lasciato vacante dal 1984. La Major League Soccer nasce ufficialmente nel dicembre 1993.
La nazionale Usa, in vista degli imminenti mondiali, giocò ben 34 partite, come fosse una squadra di club, con un ritmo quasi frenetico, comprendendo match di mera esibizione con tornei non ufficiali e tornei ufficialmente riconosciuti come la Gold Cup , e per la prima volta nella storia degli Usa, la Copa America. L'anno dopo arriva dopo 43 anni una clamorosa vittoria contro una malandata Inghilterra (che non centrerà la qualificazione ad Usa '94) per 2-0, con reti Thomas Dooley e Alexi Lalas, davanti ai fortunati ed increduli 37.652 di Foxboro che possono ancora dire "Io c'ero!".
Intanto la soccer fever avanzava nel paese e gli ottimi risultati al botteghino ne davano conferma, e la bella figura in Copa America migliorò ancora l'ambiente, nonostante sia seguita da un umiliante 4-0 dal Messico in finale di Gold Cup.
HIGHLIGHTS: Messico vs. USA 4-0
TRA I MONDIALI E LA NASCITA DELLA MLS
Arriva cosi il 1994, l'anno dell'ora o mai più per il soccer Usa. I preparativi per la Coppa del Mondo volgevano al termine in un'atmosfera di febbrile attesa, ed il gran risultato che grazie a tutta la pubblicità riguardo l'imminente Mondiale l'opinione pubblica cominciò ad interessarsi del soccer, mentre la neonata MLS stava cominciando a muovere i primi passi e nel gennaio del '94 si aprirono le selezioni dei nuovi investitori, rappresentanti ben 29 differenti comunità che dopo l'ecatombe della NASL di dieci anni prima volevano investire ancora una volta nel gioco più bello del mondo.
I requisiti per concorrere erano un piano minimo di investimento, un deposito per la vendita dei biglietti, costruzione o acquisizione di centri sportivi dove le squadre potessero allenarsi, e le garanzie per l'affitto di uno stadio. Nike e Reebok furono scelte come sponsor e fornitori ufficiali per le uniformi, Adidas venne scelta per le scarpe e Mitre per la fornitura dei palloni. Il 24 marzo la MLS firmò un contratto con ABC ed ESPN/ESPN 2 per la trasmissione di almeno 32 partite. Ben 22 città avevano fatto richiesta di poter avere una franchigia nella MLS, anche se dopo una attenta scrematura onde evitare gli errori della NASL anche in fatto di investitori poco seri che spesso dopo un anno o due lasciavano, i club annunciati nel '94 furono sette, con altre tre squadre che sarebbero state svelate una volta visti i piani di investimento. Le città scelte furono nell'ordine: Washington (DC), Boston, Columbus, Los Angeles, New Jersey, New York (poi ritirata),e San Jose. Onde procacciare maggiori sponsorizzazioni, per rendere finanziariamente più stabile la neonata lega Alan Rothenberg decise, e non senza contestazioni, che la MLS avrebbe debuttato nel 1996 invece che nel 1995, nonostante il rischio di veder evaporare quella soccer fever che stava pervadendo il paese. La APSL guadagnò lo status di seconda divisione mentre la USISL si espanse a tal punto di dividere la lega in due divisioni, quella professionista e quella amatoriale. La preparazione della nazionale Usa al mondiale consistette in 19 amichevoli giocate per la maggior parte dei casi contro squadre qualificatesi al Mondiale, il conto alla rovescia era incominciato e gli Usa dovevano a tutti i costi ben figurare nel torneo.
Finalmente però arriva il 18 giugno. A Pontiac Silverdome, nel Michigan, gli Usa esordiscono contro la Svizzera nella prima partita di una Coppa del Mondo giocata in un impianto indoor. Dopo un iniziale svantaggio gli americani portano il risultato in parità alla fine del primo tempo con rete di Wynalda davanti a 73.000 spettatori a sostegno della nazionale di casa. Il risultato finale sarà di 1-1, contro una Svizzera che annoverava nei propri ranghi giocatori come Ciriaco Sforza (poi finito all'Inter), Alan Sutter e Stephane Chapuisat.
HIGHLIGHTS: USA vs. Svizzera 1-1
Il 22 giugno gli Usa sono di scena a Los Angeles, al Rose Bowl di Pasadena, contro la più titolata, almeno sulla carta, Colombia, con giocatori del calibro di Carlos Valderrama, Fredy Rincon e Tino Asprilla. 93000 spettatori sono al sostengo degli yankees e tutti insieme si alzano in piedi cantando a gran voce "Star Spangled Banner" quando l'orchestra intona gli inni prima di cominciare la partita. Il vantaggio Usa viene siglato da una clamorosa autorete di Escobar (che verrà ucciso poco tempo dopo dalla malavita colombiana per questa ragione), al 34' minuto. Il raddoppio viene siglato nel secondo tempo da Ernie Stewart (52'), con l'inutile rete dei colombiani di Valencia ad accorciare le distanze. Gli Usa si sono qualificati, per la prima volta dopo il 1930, alla seconda fase di una Coppa del Mondo.
HIGHLIGHTS: Colombia vs. USA 0-1
L'entusiasmo è alle stelle, anche se la partita conclusiva del girone, disputatasi ancora una volta al Rose Bowl, termina con una sconfitta di misura contro la Romania, grazie ad un gol del poi genoano Dan Petrescu su assist di Florin Raducioiu. Avendo però la Romania conquistato la testa del girone, agli Usa tocca andare a San Francisco ad affrontare il Brasile, futuro campione del Mondo.
HIGHLIGHTS: USA vs. Romania 1-0
Contro quella squadra di stelle che annoverava fuoriclasse del calibro di Taffarel, Cafù, Aldair, Leonardo, Zinho, Dunga, Mauro Silva, Bebeto e Romario gli Stati Uniti resistettero eroicamente, giocando di rimessa e riuscendo qualche volta a presentarsi di fronte alla porta dei verdeoro. Le illusioni Usa di un passaggio di turno vengono spente da un diagonale secco di Bebeto al 73'. Sebbene gli Usa non potessero di certo pensare vincere la Coppa del Mondo, le alte sfere del calcio così come gli appassionati americani e non avevano capito che gli Stati Uniti non erano più una Cenerentola e che d'ora in avanti dovevano essere presi sul serio.
HIGHLIGHTS: Brasile vs. USA 1-0
Ancora una volta lo zingaro Milutinovic aveva recitato la sua parte di Re Mida, prendendo in mano una squadra di ragazzi provenienti dai college e dalle leghe indoor e semipro come la APSL, e con costanza e duro lavoro aveva fatto si che questi ragazzi raggiungessero gli ottavi di finale di una Coppa del Mondo, peraltro perdendo contro quel Brasile che avrebbe conquistato la coppa per la prima volta dopo il 1970, ancora una volta contro l'Italia. Un altro passo da gigante era stato compiuto, un'altra era si era però conclusa. Milutinovic aveva concluso il suo lavoro e come da copione sarebbe emigrato altrove in cerca di un'altra nazionale da allenare in vista della Coppa del Mondo Francia '98 (avrebbe allenato il Messico nel '98 e la Cina nel 2002) lasciando così il posto al suo assistente Steve Sampson in vista delle sfide future (in primis la Copa America) e dell'imminente nascita della MLS.