Anche se la Major League of Soccer è in crescita i salari minimi sono dieci volte inferiori a quelli degli altri sport professionistici: e i giocatori danno ripetizioni o allenano
Clint Irwin (nella foto) ha 25 anni ed è il portiere titolare dei Colorado Rapids, una delle squadre più importanti della Major League Soccer. Dopo l’università in North Carolina e qualche stagione spesa nelle leghe minori fra Stati Uniti e Canada – dove nel 2011, con la maglia dei Capital City di Ottawa, è anche riuscito a realizzare un goal all’ultimo minuto che ha permesso alla sua squadra di pareggiare contro i Windsor Stars – e sostenuto economicamente dai genitori, a febbraio del 2013 è arrivato a giocare nel massimo campionato americano. Partito come riserva, l’infortunio del titolare gli ha quasi subito spianato la strada: Irwin si è ritrovato a scendere in campo 31 volte e a guadagnarsi la riconferma per questa stagione, insieme a un sostanzioso aumento di contratto.
I due coinquilini
Lo scorso anno, il ragazzo nato a Charlotte guadagnava il minimo salariale – 36.500 dollari all’anno per i giovani sotto i 25 anni come nel suo caso, 48.500 dollari per i giocatori più anziani – incrementato da un bonus di mille dollari per ogni gara giocata da titolare. Per questa stagione, invece, Irwin ha firmato un contratto da 87 mila dollari annuali. Mentre si impegna duramente per affermarsi come calciatore professionista, è costretto a vivere in un appartamento con due coinquilini, dividendo le spese, il bagno e il frigorifero come uno studente di college.
Lezioni private e «doggy bag»
Anche i due portieri di riserva dei Colorado Rapids sono in una situazione simile. A 30 anni Joe Nasco guadagna 53.000 dollari all’anno, poco più del minimo salariale, e per permettere alla moglie Amber di stare a casa e prendersi cura della loro prima figlia Caroline è costretto a fare lavoretti part time. Per mantenere la famiglia, Nasco durante la settimana dà lezioni private ai piccoli portieri delle scuole medie di Denver, mentre nei weekend in cui non è impegnato in trasferta fa l’istruttore in un’accademia di calcio per ragazzi. Per risparmiare, come molti suoi colleghi della Mls, spesso porta a casa gli avanzi di cibo, snack e bevande dal campo di allenamento. John Berner, che a 23 anni è il più giovane dei tre, ha invece un contratto al minimo salariale da 36.500 dollari. Considerando le rate del mutuo universitario e quelle della macchina, una Jeep Grand Cherokee del 2007, il suo reddito è abbastanza basso da farlo rientrare nel programma di affitti popolari del suo condominio di Denver.
Record di pubblico e di incassi dai diritti tv
Per denunciare le difficoltà economiche dei calciatori professionisti americani, questa estate Irwin ha accettato di scrivere un editoriale per la rivista Pacific Standard, sostenendo che il successo della nazionale americana evidenzi i progressi fatti dalla Major League Soccer e dal calcio negli Stati Uniti e soprattutto puntualizzando che i giocatori meriterebbero un aumento di stipendio. Dopo anni di scarso interesse, il calcio negli Stati Uniti sta diventando uno sport di massa, raggiungendo durante i Mondiali brasiliani picchi di spettatori mai visti prima. Un incremento di cui ha beneficiato anche la Mls. Sebbene gli introiti e gli spettatori non si avvicinino neanche a quelli del baseball o del football, il campionato di calcio americano – dove questa settimana cominciano i playoff – ha fatto registrare numerosi record di pubblico e si sta preparando a gestire, a partire dalla prossima stagione, 90 milioni di dollari all’anno fino al 2022 in arrivo dai contratti televisivi con Espn, Fox e Univision.
Dempseny, Donovan, Kakà e gli altri
La crescita della Mls si nota anche dai contratti multimilionari che iniziano a firmare le stelle del campionato: sebbene la maggior parte dei giocatori sia nelle stesse condizioni dei tre portieri dei Colorado Rapids, un ristretto gruppo di campioni è riuscito a ottenere invece stipendi «europei». Da quanto emerge dai documenti resi pubblici dal sindacato dei giocatori, quasi un terzo degli stipendi totali pagati dalla lega (130 milioni di dollari), finisce nelle tasche dei sette giocatori più pagati. L’ex milanista Kakà – che esordirà con gli Orlando ad aprile 2015 e nel frattempo è in prestito al San Paolo, in Brasile – ha un contratto da 7,2 milioni di dollari all’anno; la stella della nazionale americana Clint Dempsey e l’ex romanista Michael Bradley incassano rispettivamente 6,7 e 6,5 milioni di dollari da Seattle Sounders e Toronto; il nazionale inglese Jermain Defoe riceve sempre da Toronto 6,18 milioni ogni anno; l’icona americana Landon Donovan intasca uno stipendio di 4,58 milioni di dollari dai Los Angeles Galaxy, mentre il suo compagno di squadra irlandese Robbie Keane si ferma a 4,5; il campione francese Thierry Henry, stella dei New York Red Bulls, ha un contratto da 4,35 milioni di dollari.
40 milioni in 7, «ma per gli altri non è povertà»
In totale fanno 40 milioni di dollari per sette giocatori, mentre i restanti 565 giocatori sotto contratto nel campionato incassano complessivamente 90 milioni di dollari. «Le rose delle squadre non possono essere costituite soltanto di campioni», ha dichiarato al New York Times Bob Foose, direttore esecutivo del sindacato dei giocati della Mls. «Oltre a investire su di loro, la lega dovrebbe migliorare sostanzialmente la propria struttura salariale, in modo da attrarre nuovi talenti e ricompensare coloro che ogni settimana danno il proprio contributo in campo». Irwin e i suoi due compagni di squadra ci hanno tenuto a precisare di aver reso nota la propria situazione finanziaria non tanto per lamentarsi, quanto per incoraggiare un cambiamento anche in vista del nuovo contratto di lavoro che verrà negoziato durante l’inverno. «Non possiamo assolutamente parlare di povertà», ha specificato il portiere titolare dei Colorado Rapids. «Al tempo stesso non si tratta di buoni stipendi, specie considerando che usiamo il nostro corpo per lavorare».
Come l’Nba negli anni Settanta
I salari minimi, sostiene il vicepresidente della lega Mark Abbott, sono aumentati del 41 per cento negli ultimi cinque anni, ma sono ancora molto lontani da quelli degli altri sport professionistici americani: nel football lo stipendio minimo annuo è 420.000 dollari, nel baseball è 500.000 dollari, nel basket è 507.000 dollari e nell’hockey è 550.000 dollari. Si tratta di sport molto più consolidati, così come lo sono i loro sindacati dei giocatori, ma la differenza con la Mls resta abissale, soprattutto ai livelli più bassi. «L’associazione dei giocatori è ancora giovane, ma è sulla buona strada», afferma Michael LeRoy, espero di lavoro della University of Illinois, secondo cui la situazione del calcio ricorda quella degli altri sport professionistici negli anni Settanta, con i giocatori che erano costretti a fare lavoretti part time durante l’estate per arrotondare ma riuscirono poi a imporsi con vittorie sindacali, soprattutto grazie a scioperi e serrate. La Mls, invece, non ha mai dovuto affrontare nessuno sciopero.
«Giocare ancora per amore dello sport»
Negli ultimi cinque anni, secondo Forbes, il valore medio delle squadre è aumentato del 175 per cento a 103 milioni di dollari, ma la lega continua a perdere soldi. «La Mls e i suoi club perdono in totale circa 100 milioni di dollari all’anno», spiega Abbott. «Per questo non siamo in grado di discutere della divisione dei profitti con i giocatori, ma dobbiamo pensare a come e dove investire secondo la nostra situazione finanziaria». Per i calciatori la sensazione, come puntualizza Joe Nasco, «è quella di giocare per amore dello sport, e di sperare di poter guadagnare un giorno, se la salute ci assiste, i soldi che meritiamo». Fino a quel momento, l’unica possibilità è di provare a racimolare soldi in altro modo. Nella Mls, a differenza degli altri sport, i giocatori sono – per esempio – sempre disponibili ad apparizioni pubbliche che permettono loro di guadagnare qualche centinaio di dollari in più.
I bonus a presenza
La situazione economica dei giocatori incoraggia inoltre la competizione in campo. I calciatori al minimo salariale guadagnano un bonus di mille dollari ogni volta che giocano titolari, e 500 dollari quando entrano a partita in corso. In questo modo Irwin lo scorso anno ha praticamente raddoppiato il proprio stipendio, scendendo in campo 31 volte da titolare. «È tanto, ma si tratta comunque di un’anomalia». Questo spiega anche il disappunto che ha pervaso gli spogliatoi dei Colorado Rapids per aver mancato i playoff. La squadra ha perso sì la possibilità di andare avanti nella corsa al titolo, ma soprattutto i giocatori non potranno guadagnare ulteriori bonus per arrotondare lo stipendio.
Tre ore d’allenamento, l’ufficio e i ragazzi da allenare
La storia di Irwin, tuttavia, racchiude un piccolo sogno americano. Nell’aprile del 2011, il giorno del suo ventiduesimo compleanno, il giocatore firmava un contratto da 500 dollari al mese più vitto e alloggio con i Capital City, in Canada. Aveva anche un bonus da 40 dollari a vittoria e il fatto di giocare nelle leghe minori canadesi con la squadra di Ottawa lo faceva ancora sperare di poter diventare un giorno un giocatore professionista. «Mi allenavo tre ore la mattina, poi andavo al lavoro dietro a una scrivania e la sera andavo ad allenare i ragazzi», ha scritto nel suo editoriale. «Pur di inseguire il mio sogno, nonostante avessi pochissime possibilità di successo, ho anche rinunciato a un’offerta di lavoro che mi avrebbe fatto guadagnare più del minimo salariale nella Mls. Attratto dalla sicurezza economica, avevo quasi accettato». Due anni dopo Irwin ha firmato l’agognato contratto da professionista e oggi, anche se è ancora costretto a dividere un appartamento con due coinquilini, è il portiere titolare di una squadra della Major League Soccer.