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Stadi in Italia, MLS il modello da seguire
Scritto il 2014-09-05 da SoccerItalia su Soccer Business

Il sindaco Ignazio Marino nel corso della sua visita a New York presso gli uffici della Raptor del presidente della AS Roma James Pallotta, dove è stato perfezionato l’accordo per la realizzazione del nuovo stadio dei giallorossi, ha definito l’impianto disegnato da Dan Meis “un’opera che farà parte della storia dell’architettura”.

Un investimento immobiliare che andrebbe a valorizzare l’area dell’ex ippodromo di Tor di Valle, quadrante sud ovest della Capitale, e che consegnerebbe alla AS Roma un impianto all’avanguardia capace di far crescere in maniera notevole il fatturato e – col tempo – i risultati della squadra. Un’operazione importante anche dal punto di vista urbanistico, dato che la costruzione dell’impianto sportivo, aggiunto al business park (tre grattacieli disegnati dall’archistar Daniel Libeskind, lo stesso che ha realizzato il Master Plan per la ricostruzione del World Trade Center), alla fermata della metro B e al miglioramento della rete viaria, renderanno di grande pregio una zona da decenni abbandonata a se stessa. Il tutto per un guadagno anche della società sviluppatrice che è stato calcolato tra i 500 e gli 800 milioni. Cifre che faranno agitare qualcuno e strillare alla speculazione, senza pensare che ad esempio le imprese che hanno riqualificato zone come i Docks di Londra hanno guadagnato assai di più, dando – come in questo caso – un servizio alla città ed ai suoi abitanti. Tanto più che parliamo di un investimento a capitale privato, quando invece in paesi come la Germania e la Francia, e persino i “liberisti” Stati Uniti, gli stadi sono quasi sempre costruiti a carico delle casse dello Stato. Come ha spiegato Pallotta, si tratta di “un progetto da un miliardo di euro. Creeremo qualcosa di straordinario per Roma, per l’Italia e per il Sud Europa”.

Qualche perplessità, non del tutto chiarita ancora, è sorta rispetto alla proprietà del club, che sarebbe della società sviluppatrice, e non della AS Roma. A riguardo Mark Pannes, Managing Director di Raptor Accelerator ed ex CEO della AS Roma ha dichiarato: “È ridicolo affermare che lo stadio non sarà di proprietà della Roma. Semplicemente, la proprietà dello stadio e quella del club saranno separate per motivi finanziari. Investiremo centinaia di milioni di dollari e un simile finanziamento non poteva gravare sulle casse del club. Attualmente paghiamo 8 milioni di euro l’anno per l’affitto dell’Olimpico, il club ne pagherà 2 alla nuova società. Lo stadio è e sarà della Roma, lo dice anche il nome”.

Non è proprio così. Va detto che, ad esempio, l’Emirates Stadium è stato finanziato dalla stessa Arsenal Holdings plc dentro cui è inserito l’Arsenal, titolare quindi di uno degli stadi più belli del mondo. Dall’altra parte però, l’Arsenal Holdings plc ha avuto la possibilità di ripagare lo stadio anche attraverso la vendita degli appartamenti costruiti nella trasformazione del vecchio e affascinante di Highbury Park. In sintesi, lo stadio non sarà “della AS Roma”, ma ha ragione Mark Pannes, e comunque l’importante è che capitali privati si riversino sulla Capitale portando lavoro e servizi, senza costi diretti per le disastrate casse pubbliche.

La realizzazione dello stadio, oltre a consegnare a Roma un’opera degna del suo nome, capace anche di attirare ulteriore turismo (si pensi che il Santiago Bernabeu di Madrid e il Camp Nou di Barcellona sono tra le prime destinazioni in Spagna), sarebbe anche un importante segnale per una città da tempo immobile e dove anche molti servizi di base, a cominciare dalla manutenzione delle strade, non sono al livello. Inoltre vedere che è possibile realizzare un’opera di questo genere potrebbe attirare a Roma altri soggetti. Dall’altra parte del Tevere c’è infatti la Lazio, prima squadra della Capitale, che da tempo aspetta un compratore capace di rilanciarla, anche attraverso la costruzione di uno stadio per il club.

L’attuale proprietario, l’onnipresente Claudio Lotito, ha presentato anni fa un plastico per lo “Stadio delle aquile”, senza però – a detta delle autorità comunali – mai accompagnarlo ad un progetto completo di sviluppo. Da più parti però si è parlato di richieste eccessive in termini di cubatura di compensazione. Il presunto impianto Lotito però vorrebbe costruirlo in un’area di proprietà della sua famiglia situata sulla via Tiberina, all’altezza del chilometro 9,4. Il progetto di Lotito, tralasciando gli interessi personali sull’area, assolutamente legittimi, va però contro tutti gli orientamenti sulla costruzione degli stadi nel mondo. Dall’Inghilterra sino agli Stati Uniti è infatti ormai chiaro che per far “vivere” uno stadio 365 giorni all’anno questo deve essere posizionato nella città. Si pensi al caso della Major League Soccer americana: il calcio negli USA sembrava ormai morto con la chiusura della NASL di Pelé, Beckenbauer e Chinaglia all’inizio degli anni ’80. La MLS ha invece individuato negli stadi di proprietà, contornati da tutta una serie di servizi, la leva per far sopravvivere “the beautiful game” anche dal punto di vista del business. E l’esperienza degli ultimi 15 anni ha dimostrato come le società che fanno profitto sono quelle che hanno costruito lo stadio in città, e non nei suburbs. Inoltre, portare la Lazio lontano dal Raccordo Anulare significherebbe l’”espulsione” dalla città della squadra nata a Piazza della Libertà, nello storico quartiere di Prati. Come reagirebbero i tifosi, che dovrebbero poi diventare i primi utilizzatori dell’impianto?

A Roma certo non sarebbe facile costruire un altro impianto, l’operazione AS Roma è un buon segnale, e grazie al lavoro di Cushman & Wakefield (società immobiliare ingaggiata per lo scouting delle aree adeguate) sappiamo che gli spazi ci sono. Senza dimenticare lo stadio Flaminio, situato nel pieno centro della città, che con un adeguato lavoro di ricostruzione – sperando che la famiglia Nervi titolare dei “diritti d’autore” sullo stadio diventi più flessibile – potrebbe diventare un gioiello da 45mila posti che si affiancherebbe al Palazzetto dello Sport (e ricordiamo che la SS Lazio è la più grande Polisportiva d’Europa) e all’auditorium di Renzo Piano, riqualificando una zona semiabbandonata sin dai Mondiali del 1990. E quello dei parcheggi non sarebbe un problema. Non è scritto da nessuna parte che allo stadio si debba andare in auto, tanto più se servito adeguatamente dai mezzi pubblici.

Ma sia per sviluppare una nuova area che per eventualmente ricostruire, servirebbe l’arrivo alla Lazio di un soggetto con capitali (che possa affiancare Lotito o sostituirsi a lui) e capace di coinvolgere grandi partner come ha fatto Pallotta, che si è affiancato, nell’operazione stadio, società del calibro di Starwood, Disney e Nike, oltre a partner finanziari quali Goldman Sachs e Unicredit (che occuperà uno dei tre grattacieli). Per la città di Roma e per i tifosi della Lazio sarebbe una manna, anche perché appare difficile che una proprietà giunta all’ottavo anno senza sponsor di maglia possa realizzare qualcosa di simile.

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