IL PAPA è andato ai quarti, Obama no. Nel giorno dei tifosi eccellenti l’Argentina ha fatto felice un piccolo uomo chiuso in stanze troppo grandi e il Belgio ha reso tristi milioni di persone e il loro comandante. Alle sette della sera brasiliana, nel tritacarne e sangue dei supplementari un gol di De Bruyne rimanda a casa i soldatini statunitensi componendo nei quarti un perfetto equilibrio Europa-America (4 a 4) e iscrivendo al gran ballo questa dama meticcia, giovane, sfrontata e restìa ad accendersi. Ci mette sempre troppo a trovare la chiave, ma poi entra e si porta via tutto. Di solito accadeva nel finale, stavolta, dato che le concedevano i supplementari, ha aspettato anche quelli.
Parlando di ritardatari, da anni, forse decenni aspettiamo l’esplosione calcistica degli Stati Uniti (e dell’Africa). A ogni mondiale viene puntualmente rimandata. Con molta concretezza Klinsmann aveva annunciato: «Non siamo ancora pronti. Ci manca il quid». Che sarebbe il fuoriclasse. Oppure l’occasione della vita che Wondolowski sbaglia al 3’ di recupero. Intanto però piccoli paesi come il Costarica fanno miracoli e la Colombia potrebbe essere una sorpresa più che grande. Quanto al Belgio, ha la popolazione dell’Ohio, la metà di quella del Texas e men che un terzo della California, eppure è qui a giocarsela con la madre di tutti gli sport, tranne questo. Che poi se c’è una cosa che gli americani pretendono da uno sport è l’estetica e non si può dire che questa squadra sia bella a vedersi: difende con cinque uomini e attacca con uno, in mezzo c’è Bradley e poco altro. Sembra un Chievo di lusso, allenato tra praterie e accademie militari.
Belgio e Stati Uniti sono speculari negli schieramenti e nei pregi: danno il meglio in difesa e si accendono tardi. Per novanta minuti la retroguardia che lavora è quella americana. Il muro rosso che aveva fermato tutto tranne un rigore algerino rimane solido e inattaccato per quasi tutta la partita, fino ai supplementari che, come in Germania-Algeria, diventano una partita nella partita e regalano le emozioni fin lì invocate. Brilla su tutti il portiere Howard. Se i gironi di qualificazione avevano messo in vetrina gli attaccanti, gli ottavi spostano i riflettori sui portieri, soprattutto quelli meno conosciuti. Dopo il costaricano e l’algerino tocca a questo americano che gioca nell’Everton brillare dietro la serranda abbassata. Tra i pali è una certezza e dà solidità a un reparto non proprio di fuoriclasse, ma di gente che s’impegna sì, soprattutto Beasley, capace anche di trovare il fiato per avanzare sulla fascia. Poi aiutano la traversa e il fatto che ai belgi, laboriosi, creativi, manchi assolutamente l’istinto del killer. O forse prendono l’espressione troppo letteralmente e finiscono per sparare sul portiere.
Klinsmann e Wilmots giocano una partita a scacchi fatta di schieramenti che si copiano e non lasciano spazi. Il rosso muove, ma non trova la combinazione per dare scacco. I giovani talenti accendono la miccia, ma non producono l’esplosione. L’impressione è che alcuni siano troppo innamorati di sé, dei propri capelli, del proprio ingaggio in una banca inglese. Arrivano all’appuntamento e poi non fanno la mossa giusta. E la preda se ne va, salva. Almeno finché l’orologio non ne può più. È a quel punto, è così dall’inizio del mondiale, che trovano la precisione fin lì mancata, che uno di loro, a turno, invece di farsi bello fa qualcosa di bello. Prima Mertens, poi Hazard, ieri De Bruyne, il trio fantasia schierato alle spalle di Origi, uno che sa come liberarsi, ma non come imprigionare la palla nella rete. Meno manovriero ma più deciso Lukaku, che non a caso entra ai supplementari e segna il secondo gol.
I numeri, che sanno più delle parole, dicono che questo Belgio ha fatto sei gol (non tanti, ma ben distribuiti) e ne ha presi soltanto due. Il suo portiere, Octopus Courtois, è difficilmente superabile e gli americani ci riescono con Green solo quando è tardi per il cielo. È una squadra che corre su un equilibrio difficile da intaccare, tiene palla e la fa girare. Hazard non è né mai sarà Messi. Tra De Bruyne e Di Maria, ancora meglio il secondo. Ma questi sono i picchi, ed è la media a fare la differenza. E lì l’Argentina dovrà appellarsi a qualcuno che sta sopra al suo papa per farla franca. Diego Maradona ha previsto il Belgio in finale. Non aveva quindi tutti i torti Grondona a dargli dello iettatore. O forse ci aveva visto chiaro. Sabato, il giudizio di dio, non quello della sua mano.
Fonte: Gabriele Romagnoli - La Repubblica