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Yes We Can. Gli Stati Uniti ci credono
Scritto il 2014-06-28 da Franco Spicciariello su Nazionale USA

Tra barbecue in famiglia e pinte di birra gli Usa preparano gli ottavi col Belgio. Il c.t.: «È il momento di alzare l’asticella»

Tra poco c’è il barbecue e dalla tribuna arriva il grido «Hey daddy». Jurgen Klinsmann ha lasciato i giocatori liberi di invitare famiglie e amici. La squadra si sta allenando, ma i tavoli sono già apparecchiati. Tovaglie bianche, rosse e blu, carne cotta alla brasiliana, caraffe di birra (i parenti non sono mica a dieta). Fuori, i soliti omini e omoni con l’auricolare, le moto della scorta, i controlli. Dentro, relax, ma Klinsmann avverte: «Il passaggio del turno ci rende ancora più affamati», e non è un messaggio per il cuoco. Dopo il barbecue, il riposo e il ritorno dei guerrieri, compresi quelli col naso rotto: ci sarà anche Jermaine Jones, ha giocato Clint Dempsey con il setto nasale stravolto, figurarsi se un altro si tira indietro. «Questa magari è l’ultima occasione per i trentenni, e un’occasione per tutti: se vogliamo dimostrare di poter essere un giorno stabilmente fra le prime dieci o dodici nazionali del mondo, il momento è qui, e adesso». E’ il pacifico Klinsmann, sembra anche lui un marine.

One team Il c.t. tedesco coltiva l’anima americana della squadra. Dice che non sa se ha portato qualcosa di nuovo, ogni allenatore porta un po’ del suo background, però c’è sempre da imparare, specie in un Mondiale, e guai a trasferire le regole di una realtà a un’altra. Klinsmann fa le cose a modo suo e all’americana, e il paese si è innamorato. Il team del calcio offre un posto per scherzo a LeBron James senza contratto, le star della pallacanestro tifano su Twitter, Barack Obama cinguetta One Nation One Team direttamente dall’Air Force One, dove ha assistito al match con la Germania. Figuriamoci se il presidente perde l’occasione di farsi coinvolgere sportivamente, lui che ha due figlie che amano il soccer. Ma ora tutti amano il soccer. Secondo una ricerca svolta attraverso Facebook, dopo i colombiani e i messicani i tifosi più presenti in Brasile sono quelli che hanno fatto il check in negli Stati Uniti. Da New York, dove Giuseppe Rossi tifa soltanto Usa visto che l’Italia non c’è più, poi da Los Angeles e Miami, dove gli ispanici fanno la differenza. Ma è un fenomeno a macchia d’olio, gli americani sono patrioti e chissà che cosa accadrebbe ritrovando la squadra nei quarti di finale per la prima volta dal 2002.

Yes we can In linea con le abitudini statunitensi, Klinsmann fissa una nuova frontiera. «Dobbiamo alzare l’asticella, tutti insieme. Siamo stati vicini a battere il Portogallo, che era una delle squadre favorite. Abbiamo battuto il Ghana, l’africana più quotata. Contro la Germania potevamo far meglio, ma ora comincia una fase nuova e dobbiamo dimostrare di essere pronti. Dobbiamo creare giocatori che siano in grado di restare ad alti livelli internazionali per tutto l’anno, non soltanto durante la coppa del Mondo. Se mi chiedete, possiamo farlo? La mia risposta è sì. Yes, we can». Un classico. La squadra di marines che ha avuto le piastrine da militare prima della partenza non molla: Jozy Altidore si allena con i compagni e il c.t. è convinto di poterlo avere almeno per un pezzo di partita negli ottavi di finale. Un cronista belga si guarda intorno sbigottito e chiede a un collega americano: «Scusa, ma come siete riusciti a fare questo? Voglio dire, abbiamo giocato contro gli Stati Uniti un paio di volte negli ultimi tempi e non sembravano così solidi...» [si riferisce alle vittorie per 1-0 a Bruxelles nel settembre 2011 a Bruxelles, e per 4-2 a lo scorso anno aCleveland, OH, NdR]. L’altro lo guarda, realizza il significato delle parole e risponde come risponderebbe un americano qualsiasi: «Abbiamo provato. Abbiamo trovato la soluzione migliore». Se regge contro il Belgio, arriva anche la fanfara dei veterani.

Fonte: Alessandra Bocci - Gazzetta dello Sport

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