Germania contro Usa: il paribiscotto promuove entrambi.
L’ex c.t. tedesco: «Tra 20 giorni ne riparliamo con le famiglie»
Oggi è il giorno sbagliato per essere amici. Se lo sono troppo, verranno accusati di fangosa ambiguità; se non lo sono, potrebbero far schiantare un legame, il loro. «Ma i sentimenti vengono messi da parte, questo è business», ha detto Jürgen Klinsmann. Uno che, nonostante l’aspetto angelico, ha sempre sistemato il secondo davanti ai primi. Troppo amici non lo erano dieci anni fa, Klinsi e Jogi. Si conoscevano, ecco. Stesse frequentazioni sveve, Stoccarda e dintorni, però cammino calcistico diverso, uno centravanti campione del mondo 1990, l’altro attaccante in seconda divisione. Ma nell’estate del 2004 Klinsmann doveva costruire «la squadra per la squadra » e chiamò come assistente Joachim Löw, perché «è un fine tattico, resta tranquillo e al corso allenatori spiegava meglio di tutti il 4-4-2». Löw partì per il lago di Como, dove la famiglia Klinsmann era in vacanza, si accordò in una notte. La Bundesliga lo aveva scartato, viaggiava tra Austria e Turchia. Jürgen invece non aveva mai allenato. Ora si ritrovano: se pareggiano passano entrambi e il pianeta riderà di loro.
Angela e Lutero Klinsmann era più amico di Gerhard Schroeder, il Cancelliere del decennio scorso. Parlavano, si scambiavano idee politiche e calcistiche. Il primo Bundestrainer socialdemocratico, venne definito. Ma poi è diventato una via di mezzo tra la Merkel e Lutero. Il grande riformatore, colui che ha ridato un ruolo guida alla Fussballnation e alla nazione. Le bandiere appese appese alle finestre e ai finestrini durante il Mondiale 2006 hanno coccolato l’anima di un popolo angosciato dal senso di colpa storico. «Possiamo mostrare il nostro tricolore senza che il mondo pensi che stiamo preparando un’invasione», disse Oliver Bierhoff. La Germania vinceva (finché non ha incontrato gli Azzurri), Klinsi e Jogi si abbracciavano dopo ogni gol. Oggi, se ci saranno gol, si sbirceranno a distanza.
Rivoluzione Quando si rivolse a Klinsmann, la Germania era uscita per la seconda volta di fila dall’Europeo senza vincere mai, pari anche con la Lettonia; aveva due soli campioni (Kahn e Ballack); il settore giovanile era un cantiere; la freschezza multirazziale non era esplosa; Klose e Podolski gli unici «stranieri». Miro ha detto ieri: «Lui mi ha allungato e cambiato la carriera: senza le sue novità nel fitness non sarei arrivato così in alto». Bierhoff ha aggiunto: «Ci prendevano in giro, adesso 10 anni dopo tutta la Bundesliga si allena come noi». Il tecnico portò i preparatori atletici dagli States, esperti in altre discipline «ma se uno viene dall’atletica, saprà far saltare meglio una punta». Ha tentato di riportarli in patria, adessoche allena gli Usa, ma i suoi amici non lo hanno permesso. Da Bierhoff in giù, tutti tranne lui sono ancora nello staff dei bianchi. Anche lo psicologo Hans Dieter Hermann. Venne deriso pure lui, eppure è docente all’università di Heidelberg. L’ex interista voleva anche l’allenatore della nazionale di hockey su prato come Sportdirektor. L’unica richiesta respinta, con sdegno e polemiche. In questa coppa, due tecnici olandesi di quella disciplina aiutano Van Gaal. Bernhard Peters collaborò soltanto con la federazione, per due anni, poi venne allontanato. E’ all’Hoffenheim, direttore del settore giovanile: domenica il «club del villaggio» ha vinto per la prima volta il campionato Primavera.
Filosofia Klinsi e Jogi si davano appuntamento alle 3 europee, le 6 in California. Video conferenza, perché il capo dal ’98 vive a Huntington Beach, con la moglie Debbie e i due figli. Non ha mai cambiato residenza, neppure durante i due anni della «favola estiva», titolo del film che ha raccontato il Mondiale 2006. Gli slogan erano molto Usa: «Think big, pensare in grande dimensione. Basta mentalità pessimistica». Oppure: «Calcio aggressivo, offensivo, rapido»: chi ha visto gli Stati Uniti in questi giorni può riconoscere il marchio. Klinsmann restò solo due anni, ma disse: «Lo sviluppo non finisce qui, andrà molto avanti». Löw venne promosso perché «la filosofia non cambia». Nel 2008 si mormorava che le videoconferenze proseguissero, che Jürgen guidasse i suoi amici, secondi all’Europeo. Ma dal Sudafrica, con il ricambio generazionale, il gruppo appartiene interamente a Löw. Klinsi oggi canterà entrambi gli inni, abbraccerà Jogi e poi andrà nella direzione opposta. «Ma tra tre settimane ne riparleremo insieme, con le famiglie, perché la nostra è amicizia vera». E’ il giorno ad essere sbagliato.
Fonte: Pierfrancesco Archetti - Gazzetta dello Sport