A volte nello sport le congiunzioni astrali aiutano. E fanno anche la differenza. Così succede che la Roma degli americani entra nella storia del calcio italiano ed a portarcela è proprio l’unico americano della squadra, Michael Bradley, uno che in giallorosso aveva sognato un solo altro gol (7 ottobre 2012, Roma-Atalanta 2-0).
Bradley, match winner del Friuli. «Capitan America» è stato il grido con cui è stato battezzato il protagonista della giornata, che è stato immortalato anche dalle foto dei compagni di squadra.
«Le 9 vittorie fanno piacere, ma sappiamo che basta poco per smettere di vincere — dice lui —. I conti si fanno alla fine, però non si gioca per i 9 successi consecutivi, ma per vincere un titolo o giocare la Champions».
Sempre pronto Michael (mancava dal 1° settembre) è entrato con la Roma che soffriva, sotto di un uomo. E si è messo a fare l’esterno di sinistra nel 4-4-1. Un mese e mezzo fa a Bradley si è ripiegata la gamba sinistra come una scultura giapponese di carta. «Ma io stavo ugualmente vicino alla squadra. E’ così che si comporta un professionista. Questo non è un gioco da giocare ognuno per sé. Sono troppi i momenti difficili che si attraversano durante un campionato. Io ho aiutato la squadra, la squadra ha aiutato me. C’era da soffrire. Garcia mi ha chiesto di aiutare la difesa e accompagnare la manovra. Il gol? Strootman mi ha dato una gran palla, ho cercato solo di restare calmo» .
Nel centrocampo pressoché perfetto della Roma, Bradley non può essere altro che questo: l’ultima risorsa, l’avventuriero che prende il comando in mezzo alla catastrofe. Lui lo sa fare. Lo ha imparato nei suoi viaggi, affrontati senza famiglia, da ragazzo americano imbarcato su navi estranee. «Quello che dovrebbero fare tutti i calciatori del mio Paese. Per poi tornare e insegnare» . Forse un giorno lo farà, carico di bottino raccolto in molte città proibite.
E’ andata bene, portando la Roma (quasi) in paradiso. «Pensiamo ad una gara alla volta. Abbiamo messo tutto quello che avevamo, i tre punti sono meritati. Questa è una squadra che ha determinazione e voglia, ma sappiamo che il margine d’errore è piccolo».
Già, proprio l’opposto di quello che sogna lui, sempre più grande. A cominciare da un posto da titolare, per cui ha ripreso a lavorare duro. «Ci sono ancora 29 partite, c’è bisogno di tutti, con 11 solisti non si vince nulla. Bisogna farsi trovare pronti nel momento giusto. Io darò tutto, come ho fatto anche quando ero fuori».
E allora via, c’è uno scudetto da sognare. «Per ora pensiamo al Chievo, il resto si vedrà…».
Fonte: Gazzetta dello Sport